il Giornale, 30 maggio 2018
«Il rock è come il sesso Non stanca mai e ti trasmette la carica». Intervista a Ian Anderson, il leader dei Jethro Tull
Come un fauno... In equilibrio su una sola gamba, l’altra ripiegata all’altezza del ginocchio, fa uscire inquiete e danzanti melodie dal suo flauto magico. Tutti gli appassionati di rock avranno capito che stiamo parlando di Ian Anderson, anima dei Jethro Tull, che per festeggiare il mezzo secolo sulla scena, pubblica il triplo album 50 For 50 (più la singola antologia 50 Anniversaary Collection) e torna in tournée in Italia dal 17 luglio a Molfetta (a Roma sarà il 19, a Milano il 23).
Sempre in equilibrio su una gamba nonostante il tempo che passa...
«Faccio un po’ di fatica ma è il mio marchio di fabbrica, e il pubblico se lo aspetta. Mi piace fare spettacolo e al contempo amo le favole celtiche e la mitologia, sono il fauno del rock».
La definiscono il Jean Pierre Rampal del rock.
«È un bel complimento. Comunque io vengo dalla scuola d’arte e sono stato a contatto con tante culture e discipline differenti».
Ancora in tournée.
«La musica è come il sesso... Come il sesso non stanca mai perché ci metti trasporto e perché ti dà la carica. Non vivo senza musica anche perché mi sono accorto che il rock oramai è una musica per adulti. I ragazzi ascoltano il pop, ascoltano Ed Sheeran e Taylor Swift; il rock è una musica che è cresciuta coi ragazzi di una volta, quelli che avevano gli ideali».
Cioè?
«Non dico che la musica può cambiare il mondo, ma è il mondo che cambia la musica. Guardate il blues, è nato nelle piantagioni di cotone; il rock’n’roll è nato dopo la II guerra mondiale, il rock si è esaltato durante la guerra del Vietnam. In parallelo ai grandi avvenimenti si è sviluppata la grande musica. Negli anni Sessanta c’è stata una grande spinta verso la rivoluzione. In Inghilterra si è puntato di più sulla libertà individuale, in Italia sulla politica. Ricordo che una volta mi obbligarono a suonare sotto la bandiera rossa e io mi arrabbiai, perché la politica a me non è mai interessata».
Come mai ha portato il flauto nel rock?
«L’ho studiato da ragazzo; suonavo anche la chitarra ma poi ho ascoltato Robert Johnson e subito dopo Eric Clapton, e ho capito che non sarei mai stato il numero uno con quello strumento. Con il flauto ho fatto la mia piccola rivoluzione».
Come le è venuto in mente di riprendere una Bouree di Bach e poi di firmarla?
«Naturalmente ho sempre ascoltato Bach, uno degli artisti più grandi in assoluto. Ma quella in particolare l’ho ripresa perché il mio vicino del piano di sopra la suonava continuamente alla chitarra. Io l’ho reinventata per flauto-basso-batteria».
Chi sono gli artisti che più l’hanno influenzata?
«Cerco di ascoltare meno musica possibile per non farmi influenzare. Direi comunque Robert Johnson, Bach e Ives, ma il mio autore preferito, quello che amo ascoltare, è Beethoven».
La vita è una lunga canzone, si intitola uno dei suoi successi.
«Sì, attraverso la musica si ricostruisce la storia delle vite singole e dell’umanità».
Il disco è la summa della carriera dei Jethro Tull.
«Sì, ma per me avrebbe dovuto contenere almeno cento pezzi, e tutto Thick As a Brick».
I Jethro Tull sono passati dal folk rock al rock a progressive.
«Abbiamo anticipato le contaminazioni tra generi e stili; sarebbe stato sterile e inutile ripetere le esperienze del passato. Ma la nostra musica non era barocca come quella, ad esempio, degli Yes».
Ha nuovi progetti?
«Due dischi. Uno rock sarà pronto nel 2019; un altro dedicato al flauto uscirà l’anno successivo».
Per fortuna non ha tenuto fede alla sua canzone «troppo vecchio per il r’n’r troppo giovane per morire».
«Già anche perché, come dicevo, il rock è roba per adulti».