Il Messaggero, 30 maggio 2018
Paolo Villaggio “postumo” tra Fantozzi e mister Hyde
Fin dagli anni ’60, Paolo Villaggio aveva intrecciato il suo essere moralista con l’ambiguità. Stupito dalla sua comicità corrosiva, la parte del pubblico che la capiva, inizialmente esigua, si chiedeva se Fantozzi fosse il Mr. Hyde del suo autore. Una questione di costume dell’Italia di mezzo secolo fa è proposta ora dal titolo Italiani brava gente… ma non è vero!
ABBOZZI
L’opera postuma di Villaggio – racconti brevissimi e abbozzi di racconti ancora da levigare – con «una prefazione e una postfazione del ragionier Ugo Fantozzi», sarà in libreria domani e si richiama, ma solo nel titolo, a un film di Giuseppe De Santis, Italiani brava gente (1965). Anche quel titolo aveva un’origine. Il quesito “chi siamo?” si era imposto nell’attualità italiana quando il generale Charles de Gaulle aveva detto: «L’Italia non è un Paese povero. È un povero Paese». Il pubblico che ha intravvisto solo in tv i film dove Villaggio impersona Fantozzi aveva cominciato, con gli anni ’90 – quelli del successo della Lega – a credere che Fantozzi dicesse ciò che Villaggio pensava. Ci furono quotidiani che, a certe esternazioni di Villaggio su fatti di cronaca, titolavano: «Fantozzi, sei tutti noi!». E aggiungevano: «Per primo ha capito che La corazzata Potemkin è una cag… pazzesca». In cerca di ulteriore popolarità, Villaggio alimentò l’ambiguità: irridere il prossimo gli era congeniale. Del comico aveva la dote prima: la cattiveria. Dopo «aver girato film con Ferreri, con Fellini, con Monicelli, con Olmi, che cosa mi resta?», Villaggio diceva agli amici. Invecchiare in una bella casa è meglio che invecchiare altrove. Ma era meglio ringiovanire. Sapendo che era difficile, voleva almeno non essere dimenticato. I suoi libri uscivano a cadenza annuale, con osservazioni mai ipocrite. Lo è anche l’ultimo, anche se non è rifinito come gli altri. Nello stesso tempo soffriva che quell’élite «a sinistra del Partito comunista cinese», che una volta regnava nei salotti e che così volentieri lo invitava, non lo considerasse più. Una ventina d’anni fa aveva cominciato a imprecare contro i “non salutatori”, quelli non lo salutavano nelle occasioni mondane. Villaggio era nato nel 1932 a Genova, dove ci si salutava e ci si saluta – forse – tra coniugi e parenti stretti o amici che non ti hanno chiesto favori. Ma gli anni romani l’avevano abituato alla cordialità... Insomma: nel non saluto Villaggio non coglieva discrezione da parte di un estraneo. Coglieva l’oblio. Nella prima pagina dove si firma “Paolo Villaggio”, annota di un bar dove entra – specifica – solo per la pioggia: «È quasi mezzogiorno, in un angolo un gruppo di intellettuali illuminati non mi saluta». Una pagina dopo è Villaggio a lasciare insalutati gli intellettuali. «Ma come, non saluta?», obietta uno di loro, rincarando: «Cretino, tu nella tua ignoranza di vivere nel più belpaese del mondo».
AMAREZZA
Dell’antica miscela di natura di classe (alta), respirata dalla nascita, e di anarchismo francese appreso dai poeti, è rimasta l’amarezza di essere trattato, lui, Villaggio, come Fantozzi. L’amarezza l’aveva imparata una prima volta scoprendo, ventenne, che l’aura di ben nato non ti segue dove lavori. E un lavoro come tutti gli altri, seppur per poco tempo, Villaggio aveva dovuto farlo. Forse Fantozzi era un Villaggio cui – in una realtà parallela – la Rai-Tv avesse chiuso le porte in faccia mezzo secolo fa.