la Repubblica, 30 maggio 2018
“Pèntiti, pèntiti” scrisse Fortini all’amico PPP. (La biblioteca di Pier Paolo Pasolini)
Un volume racconta la biblioteca del poeta friulano e fa luce sulle sue preferenze culturali e, attraverso le dediche, sulle relazioni non sempre pacifiche dell’autore di “Ragazzi di vita” con i suoi colleghi
Possiamo dirlo: per Pier Paolo Pasolini non c’è stata elaborazione del lutto e in tutti questi anni (gli ormai molti anni che ci separano dalla sua morte) abbiamo vissuto collettivamente una fortissima “presenza dell’assenza” per dirla, ma molto alla buona, con Freud. Di più: ogni volta che si è riaffrontato il problema della morte di Pasolini si è nuovamente messo al centro il suo corpo, virtualmente insepolto. Ancora di recente si è detto che l’uccisione da parte di Pino Pelosi altro non sarebbe che una messinscena per coprire i veri responsabili, dunque il giudizio finale resta ancora, per alcuni, sospeso e il cadavere, sia pure virtuale, non si può rimuovere.
Ma se non si elabora il lutto, se non si sposta lo sguardo dalla Morte, sarà sempre difficile apprezzare in Pasolini proprio l’opposto: lo slancio vitale che percorre in modo molto tormentato la sua opera.
Un’opera vasta e varia che fa uso della rappresentazione del male e giunge alla convinzione che occorra disinnescare il presente impregnato di valori borghesi, omologato nel deprecato consumismo, ma per cercare, al fondo, l’innocenza degli umani. Spesso Pasolini sogna un passato lontano, sogna la Grecia o i personaggi del Decameron che è un modo per cercare l’autenticità altrove.
Oggi possiamo approfittare di una preziosa occasione per mettere il naso nel suo primo laboratorio e cioè nella sua biblioteca, che un volume di Olschki, intitolato appunto La biblioteca di Pier Paolo Pasolini,
a cura di Graziella Chiarcossi e Franco Zabagli, ci descrive in modo puntuale, badando alla biografia (una sezione scheda i “Libri della formazione”) e ai temi prediletti: la poesia italiana, quella straniera, i dialetti, la narrativa, i classici, il teatro, il cinema… Non è, scrive Zabagli, la biblioteca di un bibliofilo: è una biblioteca d’uso, costruita nel tempo, attraverso la quale, appunto, si incontra il Pasolini studente liceale, che scopre Dostoevskij e poi Montale e la poesia moderna e quello universitario che si esalta per Foscolo e poi il Pasolini autore di celebri antologie (i dialettali, la poesia popolare) per passare al critico militante e al cineasta. Tutte queste tappe, va da sé, sono piene di passione, di voglia di capire, scoprendo voci per lui nuove. Un grande piacere era parlare dei libri letti con gli amici, cosa che poi diverrà la condivisione di un libro con i lettori attraverso lo strumento della recensione.
Graziella Chiarcossi, la cugina di Pasolini,che era venuta a Roma nei primi anni Sessanta per frequentare l’Università ed abitava con lui e con la madre Susanna, dà conto dei diversi passaggi della biblioteca, dal Friuli a Roma, nelle tre case abitate di via Fonteiana, di via Carini e infine di via Eufrate, all’Eur. Casa, quest’ultima, acquistata e dunque definitiva. Poi c’è la Torre medievale di Chia, nel viterbese, scoperta girando Il Vangelo e purtroppo più volte spogliata dai ladri. Ma ci sono alcune foto degli ambienti in cui si riconoscono le coste di qualche libro.
A Chia, ricorda Franco Zabagli, non c’erano le pareti piene di volumi. Pasolini portava qualche volume che gli serviva in quel momento, come Le Confessioni di sant’Agostino nei Millenni Einaudi. Nico Naldini, in una sua testimonianza, racconta invece di quando la biblioteca era ancora a Casarsa e la si doveva mettere in salvo dalle bombe della guerra ricoverandola in un fienile in mezzo ai campi. Lui stesso profittava dei libri di poesia, leggendoli quasi di nascosto, ma Pier Paolo se ne accorse e ne fu felice. Quando Pasolini era già a Roma, chiese a Nico di vendere alcuni libri di filosofia a una certa libreria dell’usato a Venezia: non aveva più un soldo e finalmente, diceva, questi filosofi combineranno qualcosa di utile.
Il volume di Olschki scheda tutti i libri riportando anche le dediche che spesso li accompagnano. Si sprecano i “cordialmente” e i “con simpatia”, ma non mancano le sorprese: per esempio Alberto Arbasino gli dedica l’Anonimo Lombardo che è del ’59, «con violenta amicizia», Francesco Leonetti a corredo di Arlecchinata (1955) scrive: «A P.P.P. in giorni che fanno della nostra amicizia una storia quasi incredibile». Franco Fortini, mandandogli la raccolta Una volta per sempre (1963) cita dal Don Giovanni: «Péntiti! / No. / Péntiti! / No» e aggiunge: «Un ricordo affettuoso», Elio Pagliarani dedica La ragazza Carla (1962) «con grande, tenace e dialettica ammirazione». Nella prima dedica dei suoi versi Sanguineti gli dà del lei. Con i protagonisti del Gruppo 63 i rapporti saranno poi, appunto, dialettici, ma senza troppa ammirazione, diciamo così, da parte di Pier Paolo. Domenico Rea gli manda Il re e il lustrascarpe (1960) «con “polemica” stima». Una sezione è dedicata ai libri pubblicati da Vanni Scheiwiller, a testimonianza di un rapporto tra i due durato una vita intera e cominciato addirittura nel ’54.
Un’altra sezione riguarda la collezione di poesia stampata da Einaudi. Sono tante le strade che si possono percorrere dentro una biblioteca come quella di Pasolini. Si segue quasi passo passo lo studente di Lettere con i saggi canonici che avviano alla Filologia Romanza, alla Storia, alla critica. Avrà mai ricomprato i filosofi venduti in un momento di bisogno? Forse no. Ad un certo punto era l’antropologia l’interesse più vivo (De Martino etc.).
In appendice figurano alcune fotografie di Pasolini, per la strada a Bologna con un amico e in mezzo ai suoi libri, con la madre Susanna, nello studio di via Carini. Sono riprodotte anche diverse copertine e alcune dediche e poi pagine sottolineate.
Libri vissuti, insomma.
Autori frequentati per una vita, come Contini o Longhi. Amici come Moravia… Adesso la biblioteca è al Vieusseux, a Firenze, dove già sono custoditi gli archivi.
E con gli studenti e gli studiosi di Pasolini potrà vivere nuove vite.