La Stampa, 30 maggio 2018
Sotto il Monviso si abbracciano le lingue madri del mondo
La parola guida è «convivéncia», termine usato dagli antichi trovatori di Provenza e ancora vivo nella lingua che qui si parla appassionatamente: e fa riferimento all’arte di vivere insieme in armonia. Risuonerà da venerdì a domenica, per il Premio Ostana, nel Comune da cui prende nome in Valle Po, provincia di Cuneo, 79 abitanti. Orgogliosamente iscritto nella lista dei più bei borghi d’Italia e soprattutto fedele alla sua tradizione occitana, cioè a una lingua che con significative varianti si parla ancora dalle Alpi ai Pirenei, lungo tutto l’arco del Midi francese: una lingua senza Stato, di volta in volta conculcata ma mai «uccisa», quella in cui componevano i poeti del ’200 (anche italiani) e cui dette un impulso di rinascita il premio Nobel Frederich Mistral all’inizio del ’900.
Fortemente voluto dal sindaco Giacomo Lombardi e da Ines Cavalcanti, presidente dell’associazione culturale Chambra d’oc, il premio convoca alle pendici del Monviso, ogni anno, le «lingue madri» del mondo, spesso marginalizzate e minacciate: e lo fa attraverso chi, come i poeti, rappresenta non solo il loro testimone ma anche coloro che se ne prendono cura. Metterli insieme, incrociarli, significa unire loro e le loro culture, sono parole del sindaco Lombardi, in un progetto di convivenza universale. E anche di conoscenza, visto che le lingue destinate a risuonare saranno per la grandissima parte dei visitatori una vera sorpresa.
In Europa secondo l’Unesco se ne parlano ancora un centinaio, ma solo un quarto ha uno statuto ufficiale, e molte sono in pericolo di estinzione, alcune addirittura ridotte a un pugno di parlanti. Nel mondo, questi numeri si moltiplicano vertiginosamente. Ostana non può svuotare il mare con un bicchiere ma ci prova con i poeti che (scriveva P.B. Shelley nel pamphlet Difesa della poesia) sono pur sempre «i non riconosciuti legislatori del mondo».
Quest’anno dieci di loro verranno premiati, e saranno nel borgo a recitare i loro versi. Sono Juan Gregorio Regino (di lingua mazateca, Messico); Adil Olluri (scrittore kosovaro di lingua albanese); Matthieu Poitavin (autore occitano, di nazionalità francese); Doireann Nì Ghriofa (giovane poetessa irlandese); Aleksej Leontiev (intellettuale e accademico di lingua ciuvascia, Russia); Joan Isaac (cantautore catalano); Asier Altuna (regista basco); Tatjana Rojc (italiana, di madrelingua slovena); Bob Holman (statunitense, premiato per l’attività in difesa della diversità linguistica nel mondo). Alcuni scrivono in idiomi noti, dal catalano allo sloveno, dall’albanese al basco, di cui quantomeno tutti conoscono l’esistenza anche per le lunghe e sanguinose traversie storiche dei Paesi; altri ci portano suoni insospettabili.
Il premio Ostana non fa differenze quantitative, riconosce a ogni lingua il suo valore universale. Alcune di esse sono ben vive e persino, come lo Sloveno nella zona di Trieste, riconosciuto e tutelato, almeno sulla carta, dallo Stato italiano (stesso discorso evidentemente per il catalano). L’Irlandese, e cioè l’antica lingua di origine celtica parlata sull’isola prima dell’invasione inglese, è addirittura sulle banconote dell’Eire, ma resta minoritaria per ovvie ragioni sociali ed economiche. Lo sviluppo semplifica brutalmente, e spesso non perdona. Ma non sempre. Prendiamo il mazateco, parlato da 250 mila persone nel Messico Meridionale: e il poeta Juan Gregorio Regino è stato il primo a dargli una forma scritta, inventandone l’alfabeto. Potrebbe essere la salvezza.