Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 30 Mercoledì calendario

«Di me si dice: ora vediamo cosa s’inventa Zanardi ...»

Alex Zanardi, ora correrà anche il Dtm, uno dei campionati automobilistici più competitivi al mondo. Ma perché? Chi glielo fa fare?
«Io sono uno accogliente, verso nuove sfide e nuove esperienze. Mi hanno proposto di fare una corsa, a Misano, in una dei campionati, ha ragione, più competitivi al mondo e ho accettato. Il Dtm è uno dei miei sogni: la Bmw una grande squadra, una macchina formidabile, e io sono pronto». 
Ne è sicuro?
«Consapevole che troverò piloti fortissimi, non certo vecchie glorie, ma giovani molto preparati, di talento. Sarà dura. Sarà tosto».
Insistiamo: perché?
«Da bambino sognavo di correre su una Rossa e in F1, ho raggiunto entrambi i traguardi, la Ferrari l’ho guidata negli Usa. Volevo l’Indy e ho addirittura vinto. Poi mi è successo quello che mi è successo. Si è aggiunta la disabilità: ho conquistato nel paralimpico 4 medaglie d’oro, 10 mondiali. Quando mi sono iscritto all’Ironman, mi hanno dato del folle. Il mio amico Filippo mi disse: ehi Sandrino, ma sei proprio sicuro di voler fare 3,8 km a nuoto, 180 km in bici e 42 di corsa? Ho fatto anche quella esperienza, con la mia disabilità e senza gambe, e ne sono orgoglioso».
Fermarsi mai?
«Basta con i sogni, ora mi pongo degli obiettivi, che è una cosa diversa. Ho trovato una grande azienda, la Bmw con una organizzazione eccellente messa a mia disposizione. È una sfida ricca di motivazioni, troverò avversari temibili, ma in passato è già successo che li guardavo dai miei specchietti retrovisori».
Ma sua moglie Daniela come l’ha presa? 
«C’è poco da dire in questi casi. Le ho raccontato della proposta, mi ha ascoltato, mi ha guardato e mi ha detto: “fai quello che ti senti”. Come si dice: va dove ti porta il cuore. Con me questa strategia funziona».
Siamo sicuri che farà una sola gara, quella di Misano? Non è che ci prenderà gusto? 
«Non posso escluderlo. Se mi si chiede se nel mio futuro ci sarà un ruolo istituzionale, che so da ministro (un seggio da parlamentare gliel’hanno già offerto e non una sola volta), la risposta la conosco bene ed è no. Con le corse non si sa mai. È una sfida affascinante: sì, questa gara potrebbe diventare un viatico...».
Non c’è il rischio che il mondo paralimpico si senta tradito? Lei ne è un simbolo.
«La gente capisce quello che tu spieghi bene. Vede e apprezza i miei sforzi. Quando ho iniziato nel 2009, non si sapeva nemmeno cosa fosse l’hand bike. Hanno capito la mia sfida e, senza volerlo, senza studio, in modo spontaneo, si è arrivati a un livello di affetto così alto che la questione del tradimento non esiste. La gente mi vuole bene. Accende la televisione e dice: “Vediamo cosa si è inventato Zanardi questa volta”. Sarà così anche con il ritorno alle macchine da corsa. Tenendo presente, sia chiaro, che mi sto preparando per il Mondiale di paraciclismo a Maniago, in Friuli, dal 2 al 5 agosto. Non solo, sono sempre intenzionato a partecipare alla Paralimpiade di Tokyo 2020».
Dia un titolo alle sue esperienze.
«Zanardi, una storia di vita. L’altro giorno studiavo con mio figlio che deve sostenere l’esame di maturità. Stavamo leggendo una tesi che affrontava la disabilità e l’handicap. Due situazioni completamente diverse. La disabilità è una limitazione delle tue capacità oggettive, di quel kit di attrezzi fisici, diciamo così, che tu hai, rispetto alle condizioni cosiddette normali. L’handicap è la tua incapacità a fare determinate cose. Steve Hawkings muoveva solo un occhio, era quello che gli restava, ma ha fatto tutto quello che voleva, ha continuato a insegnare, a fare scoperte di cui l’umanità gli è riconoscente. Hawkings era molto disabile ma non handicappato. Io nel mio piccolo, nel mio settore, lo sport, sono disabile ma non handicappato».
Torna a correre in uno sport che l’ha portata all’amputazione delle gambe. Conosce la paura?
«Col tempo, crescendo, lavorando, vivendo, acquisisci maturità, capacità di riflessione, si diventa meno vulnerabili. Sono sempre stato abbastanza ben dotato nel difendermi dall’irrazionale. Mi si passi la battuta: sono sempre stato con i piedi per terra. So bene che ogni giorno contempla la paura, per esempio quella di perdere una persona alla quale vuoi bene. Questa è la vita, dobbiamo essere consapevoli che comporta dei rischi. Ma io penso di avere già dato. Per questo ho deciso di vivere e fare le cose che amo».