Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2018
Il sogno rallentato dei supertreni americani
Anno 2033: nella Città degli Angeli mettono le ali treni superveloci che in un batter d’occhio volano da Hollywood a San Francisco, dalla città del cinema all’epicentro dell’hi-tech.
Dal 2023, intanto, carrozze ultra-rapide caricano e scaricano passeggeri tra Dallas e Houston, mecche di altre grandi industrie, petrolio e gas. È la storia di due sogni americani. Due sogni paralleli, uno in California – Los Angeles rivendica il soprannome di fabbrica dei sogni – e uno in Texas. Con due modelli diversi, il primo finanziato e progettato dal pubblico, il secondo privato. E che oggi provano ad avverarsi esorcizzando il medesimo incubo, quello di sempre nella patria del traffico stradale e aereo per quanto congestionato. Il rischio di non arrivare mai a compimento, che ha condannato l’alta velocità ferroviaria al purgatorio dei trasporti.
I due progetti sono oggi i più grandi sforzi contemporanei di rivoluzione nella mobilità mai tentati nel Paese: in California, da sola quinta economia al mondo, in gioco è un piano infrastrutturale statale da record assoluto, stimato in 77, forse 100 miliardi di dollari. In Texas – dove il nuovo bullet train, treno proiettile taglierà il secondo stato dell’Unione per dimensioni geografiche, 700mila chilometri quadrati – è prevista una mobilitazione di investitori da almeno 15 miliardi.
Disegni avveniristici
Altri disegni, a volte più avveniristici o fantascientifici, stanno salendo alla ribalta spesso con formule miste – scommesse pubblico-privato. A Chicago è la Virgin Hyperloop One, di cui è presidente Richard Branson, a studiare un collegamento da 45 minuti tra la capitale del Midwest, Columbus in Ohio e Pittsburgh in Pennsylvania con capsule “sparate” alla velocità del suono in tubi a bassa pressione. Hyperloop TT considera un simile viaggio tra Chicago e Cleveland. Il Missouri aveva esaminato un collegamento tra St. Louis e Kansas City se Amazon avesse scelto lo stato – non l’ha fatto – per il suo secondo quartier generale. Tutto questo dopo che l’ipotesi di capsule-proiettile era stata lanciata da Elon Musk, il magnate hi-tech di Tesla, già nel 2013 e ancora in California quale alternativa al progetto federale. E dopo che dal lontano 2007 XpressWest vorrebbe portare l’alta velocità tra la regione meridionale dello stato e Las Vegas entro il 2035 per muovere 11 milioni di passeggeri.
Ecco sulla costa orientale il Northeast Maglev, treno a levitazione magnetica immaginato da una squadra di investitori privati inizialmente da Washington a Baltimora entro il 2027, 12 miliardi per coprire 40 miglia. Con l’ambizione di arrivare, decenni più tardi, a New York e soccorrere la debole alta velocità esistente delle ferrovie federali Amtrak. Un ridotto esperimento privato di nuovi treni high-speed, la Brightline da 1,5 miliardi finanziata dal fondo di private equity Fortress Investments, è stato inaugurato a metà maggio in Florida tra Miami e Fort Lauderdale e vorrebbe nei prossimi anni allungare le sue rotaie e accelerare la velocità – oggi di sole 79 miglia l’ora – fino a Orlando.
I sogni incrociati di California e Texas
Ma sono i due sogni incrociati di California e Texas a dettar legge, a immaginarsi potenziali apripista dell’alta velocità in America. Tracce concrete del progetto, a Los Angeles, faticano a farsi notare. Per trovare scavi e sopraelevate bisogna piuttosto recarsi a Fresno, a metà del percorso ideato. Abbondano invece le polemiche. È una battaglia dove si intrecciano interrogativi di business e culturali. Se davvero gli ingenti costi e sfide tecniche valgano il promesso impatto in termini di crescita e risparmi nel disagio dei passeggeri; se i piani convinceranno legislatori, autorità e opinione pubblica con alle spalle una lunga storia di scetticismo sui mega-progetti. Quale dei modelli – pubblico o privato, oppure di partnership miste – abbia migliori carte in regola. E quali opportunità saprà offrire ad aziende americane come internazionali: in Texas, Salini Impregilo è impegnata nelle analisi di fattibilità. La California ha affidato un contratto di consulenza per la prima fase a una cordata dei tedeschi di Deutsche Bahn. Nella Brightline in Florida è coinvolta Siemens.
Rick Geddes – direttore dell’Infrastructure Program della Cornell University, membro della Hyperloop Advanced Research Partnership e fautore di iniziative pubblico-private – riassume l’odissea. «Ci sono nuovi sforzi per trasformare i servizi ferroviari usando nuove tecnologie», afferma. Ma le radici delle resistenze sono profonde: «All’indomani della Seconda Guerra Mondiale fu presa una decisione sui mezzi di trasporto che premiò la rete di autostrade interstatali. Una decisione strategica, all’apice della Guerra Fredda, che aveva anche propositi militari. La configurazione, con lunghe diritture, avrebbe permesso spostamenti di mezzi corazzati e se necessario atterraggi di velivoli. L’eco di quelle scelte si fa tuttora sentire». Un altro pesante retaggio riguarda il possesso delle rotaie: solo nel Nordest la società ferroviaria federale le controlla, altrove appartengono a servizi cargo, inadatti all’alta velocità. «Vuol dire che nuove linee devono passare per l’acquisto costoso di terreni e diritti di passaggio», spiega Geddes.
Il momento della svolta
I profeti dei bullet train insistono che oggi è il momento della svolta. I nuovi 390 chilometri di linea elettrificata per l’alta velocità in Texas – progettati dalla Texas Central Partners usando il sistema giapponese Shinkansen – dovrebbero trasformare il viaggio Dallas-Houston in una passeggiata di 90 minuti, con cinque milioni di passeggeri entro il 2025, dieci nel 2050. Travis Kelly, vicedirettore di Texas Central, evoca i vantaggi: «Al contrario di piani governativi, che possono aver incontrato ostacoli perché non guidati dal mercato, dimostrerà la validità della tecnologia e del nostro approccio, creando una nuova industria hi-tech. Il Texas può diventare seme d’un nuovo comparto manifatturiero al servizio di ulteriori iniziative nel resto del Paese». Kelly prevede volano economico – spesa diretta, assunzioni, manutenzione e gestione – pari a 36 miliardi in 25 anni. «È un progetto complesso – aggiunge Giuseppe Quarta, responsabile delle grandi opere per Lane Construction, controllata americana di Salini Impregilo – la prima vera alta velocità privata. I livelli di performance previsti saranno paragonabili ai migliori al mondo». Tra gli ostacoli incontrati: equilibrare parti sopraelevate e a terra, costi e impatto ambientale.
È però in California che spiccano le incognite. Nei sondaggi una maggioranza di residenti è a favore dell’idea, ma solo il 31% sostiene l’attuale progetto Los Angeles-San Francisco in due ore e 40 minuti e le sue estensioni. Creerebbe, secondo le proiezioni, 450mila posti di lavoro. Ma gli ostacoli, dai costi dei terreni a una difficile geografia che scavalca e perfora montagne, si moltiplicano: nell’ultimo budget le risorse necessarie sono lievitate di 44 miliardi rispetto agli albori – a 4,6 miliardi l’anno, 13 milioni al giorno – e i tempi slittati di quattro anni. La Banca mondiale, nel 2014, aveva già calcolato un “prezzo” per miglio doppio rispetto alla Cina e di almeno un terzo superiori all’Europa. Per affrontare la spirale l’idea è ricorrere a prestiti garantiti da un sistema di cap and trade dello stato che fa pagare per emissioni inquinanti. Il primo tratto tra San Jose e Central Valley è previsto per il 2025: in costruzione sono 119 miglia di binari con contratti per 3,24 miliardi. Alla fine il treno dovrebbe coprire 800 miglia, con 24 stazioni e 28,4 milioni di passeggeri l’anno. «Costruiremo l’alta velocità per i californiani» ha promesso Dan Richards, presidente del board del progetto. Al momento, tuttavia, il suo è ancora un sogno interrotto.