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 2018  maggio 30 Mercoledì calendario

Senza Facebook per un mese. Primo esperimento no social in Papa Nuova Guinea

Niente Facebook (né porno online) per un mese. Per la maggior parte degli umani sarebbe un incubo. Per il ministro delle Comunicazioni della Papua Nuova Guinea, invece, è l’unico modo per studiare gli effetti del social network sulla società. E così l’isola del Pacifico si prepara a trenta giorni senza post né like, senza selfie e fake news virali. 
Otto milioni di abitanti, la Papua Nuova Guinea registra una diffusione di Internet intorno al 12 per cento, all’incirca la stessa percentuale dei papuani iscritti a Facebook sul totale della popolazione. Ma il caso Cambridge Analytica, lo scandalo dei dati personali trafugati a 87 milioni di utenti attraverso la piattaforma, è riuscito comunque a lasciare strascichi anche lì. E così il titolare delle Comunicazioni Sam Basil, dopo aver seguito attentamente le audizioni del fondatore e numero uno di Facebook Mark Zuckerberg al Congresso statunitense, ha ritenuto di imporre lo stop alla sua creatura. Non solo per tutelare la privacy dei suoi concittadini, ma anche per limitare il fenomeno delle notizie false e dei finti account, di chi si iscrive a Facebook con un’identità che non è la propria solitamente con lo scopo di far circolare bufale. Ma sopratutto obiettivo del ministro papuano è quello di sottoporre il social network all’analisi dei funzionari del dipartimento Comunicazioni e Information technology, incaricati di studiare chi lo usa e come.
«Il tempo permetterà di raccogliere informazioni al fine di identificare chi si nasconde dietro ai finti profili e chi posta immagini pornografiche e renderà possibile il filtro e la rimozione delle notizie ingannevoli. Così gli utenti genuini potranno usare la piattaforma responsabilmente», ha spiegato Sam Basil al giornale locale Post Courier.
Ma il mese di stop sarà anche l’occasione per un esperimento sociale sulle conseguenze dell’uso di Facebook. «Il governo non ha mai davvero avuto la possibilità di valutarne i vantaggi e gli svantaggi, e nemmeno quella di educare e fornire ai cittadini una guida all’uso di questo e altri social network», aveva preannunciato un mese fa il ministro, che si era detto preoccupato anche per l’impatto negativo della piattaforma sulla produttività di impiegati e bambini. E se i risultati di questa analisi non dovessero essere soddisfacenti, l’esecutivo papuano avrebbe già pronto un «piano b»: la creazione di un nuovo «social» fatto in casa. «Stiamo anche guardando alla possibilità di creare una piattaforma per i cittadini della Papua Nuova Guinea, da usare con profili veri – ha detto il titolare delle Comunicazioni – Se ce ne sarà bisogno raccoglieremo i nostri sviluppatori per creare un sito che sappia favorire meglio le comunicazioni dei cittadini all’interno del Paese e con l’esterno».
Il blocco di Facebook a fini di ricerca, in ogni caso, è un unicum nella sua – seppur breve – storia. La piattaforma è stata bloccata per periodi limitati di tempo anche altrove, certo, ma sempre in concomitanza di eventi specifici come elezioni e proteste di massa. In alcuni Paesi – Corea del Nord, Cina e Iran – Facebook è censurato del tutto, ma si tratta anche in questo caso di una scelta politica. L’esperimento papuano, al contrario, è qualcosa di inedito, reso possibile sicuramente dal numero limitato degli abitanti dell’isola e da quello ancor più risicato dei residenti che hanno accesso a Internet. Non resta che attendere lo scadere del mese, quando il governo locale deciderà se promuovere o bocciare Zuckerberg.