il Giornale, 30 maggio 2018
La Storia del mondo si scrive negli alberghi tra tunnel segreti, spie e cadaveri eccellenti
Il Royal Horseguards, al 2 di Whitehall Court, stava, e sta ancora adesso, accanto al quartier generale di Scotland Yard: era pieno di tunnel, di femmine e di spie. Dai suoi cunicoli segreti i James Bond della Grande Guerra raggiungevano le stanze dei ministri di Sua Maestà per fare rapporto e prendere ordini. Ospitava il pub preferito da Winston Churchill, il «Duck and Goose», e nelle sua stanze trovavano alloggio George Bernard Shaw, H.G. Wells, l’autore della «Macchina del tempo», e gli intrighi alleati: il quinto piano ospitava l’ambasciata sovietica, il sesto quella americana, al settimo c’era il quartier generale dei servizi di addestramento della Raf. Tutti spiavano tutti. È qui che è nata la Guerra fredda.
Il «Continental» di Mosca invece, al 10 di via Gorky, altro non è che il vecchio «Lux», il Waldorf Astoria rosso, per decenni dimora della nomenklatura comunista mondiale. Soggiornarvi, per i vip rossi dell’epoca, era un punto d’onore, esserne esclusi significava essere declassati, o peggio, cadere in disgrazia. Dal «Lux» sono passati o spariti tutti i capi comunisti da Zhou Enlai a Togliatti. C’erano cimici dappertutto, perché dei compagni non si fidava nessuno, ma erano topi e scarafaggi la piaga dell’albergo. La Cortina di ferro si è forgiata qui.
Ora pare che anche Trump e Kim vogliano riscrivere la Storia in un hotel: anche se a Singapore gli alberghi che dovevavno ospitare le delegazioni di Usa e Corea del Nord, lo «Shangri-La» e il «Marina Bay Sands», hanno liberato le camere riservate in vista del summit. Probabile che ora ci ripensino. «I miei hotel – diceva lungimirante Conrad Hilton – giocheranno un ruolo fondamentale nella promozione della pace mondiale». E non parlava solo dei suoi. La guerra in Jugoslavia cominciò da un hotel, l’Holiday Inn di Sarajevo, quando i miliziani di Karazic spararono sui musulmani che protestavano in piazza. Finirà con quasi centomila morti. In un hotel, l’Ambassador di Los Angeles, finì la nuova frontiera dei Kennedy, con l’assassinio di Bob, al Motel Lorraine la vita ma non il sogno di Martin Luther King. Oggi il motel è diventato il National Civil Rights Museum, il museo dei diritti civili.
Il Chelsea Hotel, sulla 23ma strada a New York, è stata la casa di Stanley Kubrick e Jim Morrison, di Andy Wharol e Jack Kerouac, qui, dicono, morì Dylan Thomas, qui Robert Mapplethorpe scatto la sua prima polaroid. Ma «questo hotel – scriveva Arthur Miller – non appartiene all’America: non ci sono aspirapolvere né regole né vergogna». Al[Grand Hotel Esplanade, costruito dall’imperatore Guglielmo, si riunirono i congiurati dell’Operazione Valchiria, il fallito attentato a Hitler organizzato del conte von Stauffenberg. Distrutto dagli alleati è diventato il set de Il cielo sopra Berlino. E dall’Hotel Continental, quartier generale di giornalisti durante il Vietnam, «l’albergo più sgangherato ma nobile di Saigon» scriveva Egisto Corradi, sono passati tutti i protagonisti di trent’anni di guerra. Qui Graham Greene scrisse Un americano tranquillo e Robert Shaplen La rivoluzione perduta. Il personale, caduta la città, fu «rieducato» dai comunisti. Superarono la cosa con classe. L’albergo giusto, diceva Guido Ceronetti, bisogna meritarselo.