Il Messaggero, 30 maggio 2018
Se l’impennata dello spread non rientra pagheremo 3 miliardi in più di interessi
Un aumento di 100 punti base su tutta la curva dei rendimenti provocherebbe un incremento della spesa per interessi di circa 2 miliardi il primo anno, crescente fino ai quasi 9 del quarto anno. La stima, o meglio l’analisi di sensitività, l’ha fatto appena poche settimane fa il ministero dell’Economia, includendola nel recente Documento di economia e finanza.
LA SIMULAZIONE
Quello che di solito è soprattutto un esercizio, una simulazione fatta in nome della prudenza, rischia stavolta di diventare realtà. O anche di superarla: in un mese, il rendimento dei Btp a 10 anni è passato dall’1,8 al 3,3 per cento circa. Nell’asta che si è tenuta ieri poi il Bot a sei mesi è stato collocato con un tasso dell’1,21 per cento, mentre a fine aprile il rendimento era negativo a quota -0,42. Insomma sembra che l’incremento effettivo dei tassi sia più vicino ai 150 che ai 100 punti base. Certo, tutti si augurano che questo balzo sia momentaneo e rientri, ma se invece dovesse consolidarsi allora l’effetto sulla spesa potrebbe andare dai circa 3 miliardi del primo anno ai 13-14 del quarto. La ragione di questo impatto graduale è naturalmente la politica accorta seguita dal Tesoro in questi anni di bassissimi tassi di interesse, che ha permesso di portare la vita media complessiva dei titoli di Stato a quasi sette anni. Vuol dire che i maggiori costi per il Tesoro si manifestano in modo diluito nel tempo, a mano a mano che i bond vanno in scadenza, mentre perdura ancora l’effetto positivo delle precedenti emissioni.
LE STIME
Tre miliardi circa è anche la riduzione della spesa per interessi che il ministero aveva messo in cantiere nelle stime per quest’anno, rispetto al valore di consuntivo del 2017: da 65,6 a 62,5 miliardi: dunque si può dire che questa sia la posta in gioco, anche se lo shock di questi giorni non si manifesterà per intero nel 2018 visto che siamo ormai nel mese di maggio. Sempre nelle stime fatte dall’esecutivo uscente prima della bufera sullo spread, il livello della spesa dovrebbe restare stabile 3 miliardi per poi crescere a 65,5 nel 2020 e a 68,3 nel 2021, ultimo anno dello scenario di previsione: valori destinati a lievitare se restassero acquisiti gli effetti di quanto avvenuto sui mercati in questi giorni.
Va sempre ricordato che l’andamento dei mercati è condizionato dalla presenza di un attore straordinario, la Banca centrale europea, che sta tuttora attuando il proprio programma di Quantitative easing (Qe) con il quale acquista titoli di Stato dei vari Paesi dell’area dell’euro. Le operazioni andranno avanti fino al mese di settembre; già da alcuni mesi l’importo degli acquisti è stato dimezzato senza che questo provocasse particolari conseguenze, come ha fatto notare ieri anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Da Francoforte c’è anche l’impegno a rinnovare i titoli in scadenza, anche quando sarà terminata la fase dei nuovi acquisti netti: dunque sarà un’uscita di scena lenta e graduale. Tuttavia è chiaro che quello a cavallo tra settembre e ottobre sarà un periodo delicato; che vedrebbe il nostro Paese ancora nella fase di formazione di un nuovo governo, se le prossime elezioni dovessero effettivamente svolgersi alla fine dell’estate, invece che a luglio come pure emerso in queste ultimissime ore.