Avvenire, 29 maggio 2018
Storia del barone von Sternberg, il Buddha guerriero
Abituati come siamo a concepire la religione buddhista come intimamente legata all’idea di mitezza, pace e serena beatitudine, risulta francamente difficile immaginarla come un culto aristocratico e guerriero. Eppure, è proprio quello che successe circa un secolo fa quando, nell’Asia centrale, si diffuse la credenza che un comandante dell’esercito zarista fosse il Buddha Maitreya, ovvero l’ultima reincarnazione del Bodhisattva, il cui ritorno sulla terra annunciava la fine dei tempi. Se, vista la sanguinosa epopea della Rivoluzione russa, si poteva davvero pensare all’Apocalisse, un po’ più difficile sarebbe stato scambiare per Buddha il Barone Ungern von Sternberg, un nobile baltico autoproclamatosi Khan della Mongolia. Crudele e terribile, Ungern era adorato dai suoi seguaci come una divinità vivente, manifestazione di personaggi letterari a metà tra il Kurtz di Cuore di tenebra/ Apocalypse Nowe il dottor Fu Manchu di Sax Rohmer, il cui culto, se ha avuto solo un effimero successo politico, si è invece ben radicato nell’immaginario collettivo. Grande, infatti, è la sua fama letteraria, consolidata dalle numerose biografie, e saggi storici, romanzi e persino fumetti, come l’avventura di Corto Maltese intitolata Corte sconta detta Arcana, che lo vede tra i protagonisti in una versione davvero molto romanzata.
A definire la veridicità delle mirabolanti avventure di questo personaggio straordinario arriva in libreria una ponderosa biografia scritta da uno studioso russo, Leonid Juzefovic, Il Barone Ungern. Vita del Khan delle steppe
(Edizioni Mediterranee, pagine 394, euro 34,50, traduzione di Paolo Imperio), prima opera scientifica tradotta nel nostro paese. L’autore, storico e romanziere, ha anche servito nell’Armata rossa con il grado di sottotenente durante gli scontri di frontiera tra Russia e Cina degli anni Settanta, esperienza che lo ha messo a diretto contatto con popolazioni autoctone nelle quali è ancora vivo il ricordo di Ungern, il quale, per alcuni, sarebbe in procinto di tornare, vittorioso, a proclamare l’impero euroasiatico.
Ma chi fu, veramente, Roman von Ungern-Sternberg, figlio di un funzionario ministeriale di San Pietroburgo e di una nobildonna ugonotta, nato tra la fine del 1885 e l’inizio del 1886 e morto fucilato dai bolscevichi il 15 settembre 1921? La ricca e documentata biografia percorre tutte le vite possibili: quella dello spietato generale dell’armata bianca adorato dai suoi soldati, quella del nobile buddhista che portava con sé le pagine della Bibbia per leggerla anche in battaglia e quella del controrivoluzionario invasato, predicatore del pan-asiatismo, unica medicina in grado di fermare «le infezioni del socialismo e del liberalismo». Unico denominatore comune delle tre vite, la convinzione di essere “destinato” a compiere una grande missione per l’umanità. Qualunque essa fosse, molto probabilmente non si è attuata.