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 2018  maggio 29 Martedì calendario

La locomotiva tedesca e i suoi squilibri fino a oggi condonati

La Repubblica federale tedesca è il traino dell’Unione Europea: il tasso di crescita del Pil nel 2018 sfiorerà il 3% in termini reali, la produzione industriale galoppa a quasi il 3,5% l’anno, il tasso di disoccupazione è ai minimi (3,4%).
C’è un dato macroeconomico che può essere visto o come uno dei frutti del ’miracolo’ tedesco in un’Eurozona che arranca o come una delle determinanti che frenano il resto dell’area dell’euro: la bilancia delle partite correnti segna un surplus pari al 7,7% del Pil. Sono almeno otto anni in cui la Germania supera la ’regola europea’ (peraltro mai formalizzata in un trattato o accordo intergovernativo) secondo cui, al fine di non creare squilibri all’interno dell’area, l’eccedenza non deve superare il 6% del Pil per tre anni consecutivi. Due tesi sono contrapposte: da un lato, il dato sarebbe unicamente il risultato dell’efficienza dell’industria tedesca e della sua capacità competitiva sui mercati internazionali (in particolare quelli asiatici). Da un altro, l’eccedenza si traduce in alto tasso di risparmio (quello delle famiglie supera il 10% del reddito disponibile) piuttosto che investimenti (specialmente in infrastrutture) i cui effetti esterni (positivi) si sarebberoriverberati sul resto d’Europa. Purtroppo è difficile operare su questo squilibrio tra la Germania gli altri. Lo stesso Fmi, nella cui carta si postulano misure che evitino squilibri commerciali troppo elevati e durati, conosce un solo rimedio: l’apprezzamento del cambio, non praticabile all’interno di un’unione monetaria. Anche eventuali campagne per incoraggiare i tedeschi a risparmiare di meno e investire di più non avrebbero effetti di rilievo data la paura atavica di ’grandi inflazioni’ come quelle degli Anni Venti e Trenta. Secondo la Commissione europea, altro punto dolente è il sistema di tassazione, soprattutto delle imprese: sarebbero opportune riforme che aiuterebbero una maggior articolazione e modernizzazione del mercato dei capitali e favorirebbero gli investimenti privati.
Franco Bruni della Università Bocconi sottolinea che è in corso un riesame approfondito del sistema bancario tedesco, con la regia sempre più attenta della vigilanza della Bce. Finora una certa mancanza di trasparenza ha impedito di diagnosticare adeguatamente le sue debolezze: banche troppo numerose, spesso troppo piccole, troppo legate a poteri politici e distretti economici locali, con bilanci messi a rischio da attività strutturate complesse e speculative. La lunga fase di tassi di interesse internazionali bassissimi o negativi ha nuociuto alla loro redditività (come a quella delle imprese assicurative) e le ha spinte ulteriormente verso rischi poco controllati. Se le banche hanno problemi, il settore finanziario non bancario, infine, è gravemente sottosviluppato e il programma europeo di modernizzazione e riduzione del banco-centrismo, la cosiddetta Unione dei Mercati dei Capitali, trova i tedeschi su posizioni piuttosto esitanti nel promuoverne la riforma.