La Stampa, 29 maggio 2018
«Il sonno si impara dai moscerini»
Michael Rosbash si sta inoltrando in un cuore di tenebra: è il sonno, con quelli che definisce i suoi «tanti misteri». Lui ha vinto il Nobel della Medicina l’anno scorso insieme con Jeffrey Hall e Michael Young per aver esplorato un territorio contiguo, che ora splende di una luce soffusa: è il meccanismo dei ritmi circadiani, generati dagli orologi biologici che accomunano gli esseri viventi, dalle piante agli esseri umani, passando per gli operosi moscerini della frutta che Rosbash, neuroscienziato alla Brandeis University, a Boston, ha studiato e ancora indaga con passione.
Approfittando della loro anatomia semplice e di un cervello elementare, ha guidato le ricerche che hanno individuato i tre geni alla base del ciclo universale delle 24 ore, in armonia con la rotazione terrestre. Sono stati chiamati «period», «timeless» e «doubletime», mentre la proteina che funziona, alternativamente, da acceleratore o freno dei loro input è stata battezzata «Per». Insieme alimentano la danza della vita, che Rosbash descrive come «il metronomo del musicista»: «Ogni giorno quei feedback molecolari stabiliscono quando avviarci verso il sonno o quando restare svegli e in allerta». E aggiunge: «Sospettiamo che siano coinvolti anche altri geni, ma probabilmente non sono così importanti come i tre originali». Il professore aggiunge che ha lasciato ad altri team l’incarico di proseguire l’avventura in quel settore. Lui ha deciso di addentrarsi nel sonno e – spiega – «nel sistema omeostatico che ne è alla base».Vuole scoprire, in poche parole, come si genera – e si mantiene – il fragile equilibrio tra veglia e riposo e «di quanto sonno abbiamo davvero bisogno». All’apparenza è un calcolo semplice, ma non è così. Nella società connessa, in cui le 24 ore equivalgono a un flusso ininterrotto di stimoli e tentazioni, gli antichi equilibri della tradizione sono andati in pezzi. «La durata del sonno e anche i suoi momenti nella giornata rappresentano due problemi sinergici – osserva -. Ma non sono chiari: confesso che mi è difficile dire se la sua riduzione sia una questione minore, preoccupante o addirittura orribile». Le conseguenze cliniche – dice – restano avvolte in una nebbia. Catastrofisti e ottimisti si fronteggiano anche nei laboratori.Ecco perché Rosbash, pur lasciandosi alle spalle gli studi sui ritmi circadiani che gli hanno garantito l’immortalità accademica, non abbandona la miniera di dati contenuta nei moscerini della frutta. Anche loro – spiega – dormono come noi umani, «in modi e con fasi simili». «Volendo adottare uno scenario ottimistico, dico che ciò che stiamo indagando in loro sarà rilevante anche per noi». Al centro c’è la banale domanda che lascia interdetti biologi, neurologi, genetisti e che ripeterà il 1° giugno nella lezione al Festival della Scienza Medica di Bologna: «Perché dormiamo? E a cosa ci serve?».«Credo che sarà ancora la genetica a fare da apripista». Rosbash ammette che sta cercando il «counter», il «contatore» biologico che regola la nostra permanenza nell’universo onirico. «È una ricerca anatomica e che allo stesso tempo coinvolge i sistemi biochimici dell’organismo». E aggiunge che, se lui è passato dai ritmi circadiani (con la cascata metabolica che scatena, comprese la pressione sanguigna e la temperatura corporea) fino al sonno e alle sue leggi, non ha tradito l’impostazione che l’ha animato, in decenni di osservazioni e test. «La mia è ricerca di base», commenta, aggiungendo che le applicazioni cliniche – legate per esempio a nuovi farmaci – appartengono a un altro livello di realtà. «Gli studi tendono a diventare sempre più traslazionali, imitando i tempi del mondo “corporate”, mentre i governi dovrebbero finanziare quella fondamentale». E con una risata amara conclude: «Se vuoi far guarire tua nonna dall’Alzheimer, devi saper aspettare». Il tempo – ammonisce la Natura – è tutto.