la Repubblica, 29 maggio 2018
Pupi Avati: «Soltanto l’amore ci salva L’ho imparato vivendo»
Pupi Avati parla mescolando pudore e passione: alla soglia degli 80 anni (li compirà a novembre) esplora i sentimenti con una storia d’amore fuori dal tempo. «L’amore è rivoluzionario, ti salva la vita, ti rende speciale» afferma. «Volevo raccontare questo col mio film». Il fulgore di Dony (stasera su Rai1 alle 21.25), racconta l’amore assoluto di Donata (Greta Zuccheri Montanari) per un bellissimo ragazzo (Saul Nanni) che dopo un incidente sugli sci subisce danni cerebrali e si spegne poco a poco.
Ma lei va contro i genitori (Ambra Angiolini e Giulio Scarpati; quelli di lui sono interpretati da Lunetta Savino e Andrea Roncato) per stargli accanto e dare senso alla sua vita. La capisce solo il perito del tribunale a cui si rivolgono i genitori per tenerla lontana da lui, lo psichiatra umanissimo Alessandro Haber. La proiezione segue un rito scaramantico: il fratello di Pupi, il produttore Antonio Avati, è in fondo alla sala.
Avati, in tempi di amore esibito e consumato, cerca l’amore assoluto.
«M’interessa la ricerca dell’assoluto, la sacralità che contiene la follia. Dony non è la più bella di Bologna, nella classifica della scuola è a metà, è a metà di tutto. Ma all’improvviso diventa sfolgorante, trova il senso del suo essere».
L’amore è la risposta?
«Penso di poterlo dire, ho 79 anni e nella vita ho visto tanto. Il senso di noi stessi lo troviamo nell’altro, Dony lo trova in questo ragazzo».
In realtà s’innamora del bisogno che lui ha di lei.
«Lo capisce solo lo psichiatra. Dony si rende conto di essere indispensabile e questo la rende fortissima. Abbiamo parlato tanto sul set con la giovane attrice Greta. Aveva paura, come me. Mi era successa una cosa simile con Alba Rohrwacher quando giravamo Il papà di Giovanna. Quella storia, come questa, per essere vera non doveva essere interpretata, ma vissuta».
È una storia anacronistica: come reagirà il pubblico?
«L’anacronismo contraddistingue gran parte dei miei film: se invecchiano meno di altri è perché si collocano fuori dalle urgenze del presente. Tutto il cinema si occupa dell’oggi ed è un limite. Funziona se il pubblico entra nella storia senza giudicare, se s’immedesima nel coraggio di Dony, e anche nella sua follia».
Lei non giudica mai?
«Il fulgore di Dony esplora la “cultura dello scarto” a cui tanto tiene il pontefice. Una società dove si premia solo chi è assertivo e ce l’ha fatta non funziona. Qui c’è uno sguardo molto amorevole nei riguardi di chi non ce l’ha fatta e questo rende il film scandaloso.
Il protagonista è bello e la bellezza rende inadeguati». Eppure lei ha sposato una donna bellissima.
«Lo è ancora, mi sono sentito inadeguato e ho cercato di tenerla con me per sempre. Malgrado non ci sia giorno che non sia stato segnato da lacerazioni, il legame ha resistito. Dopo 54 anni lei è il mio hard disk, ha tutti i file, nei suoi occhi c’è il Pupi ragazzetto, che va a suonare con Lucio Dalla a Bologna, ci sono io venditore di surgelati, c’è il ringraziamento in inglese agli Oscar che non mi è mai servito. Non ci sono altri occhi dove sia custodito, e quegli occhi dovevano essere belli».
Mette in luce persone vulnerabili: perché?
«Parlo della vita, i più vulnerabili sono vecchi e bambini, ridono e piangono di più. In generale il soccombente ne sa sempre di più. Le persone che frequento sono spesso inadeguate, mi piacciono. Percepisco il loro dolore e la loro gioia. Prima non era così. Oggi ho voglia di tornare figlio, ho nostalgia dell’infanzia, come nel Posto delle fragole di Ingmar Bergman».
Ha il dono della fede? «Io voglio avere fede e sono disperatamente incredulo. Vado in chiesa a pregare Dio di esistere, non ho più fede negli esseri umani. Per questo ho voluto raccontare di Dony, e spero che ne esistano tante. È la donna più meravigliosa che posso immaginare. Potrebbe evitare il dolore ma lo sceglie».
Gli ultimi saranno i primi?
«Non posso non crederci. Sono sopravvissuto mentendo a me stesso. Alla fine ho girato 49 film. Con Dalla andavamo in birreria e spendevamo 50 lire di tonno e fagioli. Sognavamo il successo. Lucio ha fatto un viaggio siderale, bisogna ingannarsi crederci e convincersi. Volevo raccontare chi ero con un clarinetto; non mi amava, mentre amava Lucio. Ho fatto una lunga peregrinazione. Non avevo capito che il cinema potesse darmi opportunità, sono andato alla ricerca del mio Graal. Sono stati anni anche dolorosi. Ho dato tanto al cinema: non so se mi abbia restituito altrettanto».