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 2018  maggio 29 Martedì calendario

Primo Levi inedito: «Amo la musica, è pura chimica»

Brani di un’intervista radiofonica a Primo Levi del febbario 1984 realizzata da Paolo Terni. Il testo è contenuto in “Opere complete di Primo Levi Vol. III”, Einaudi, a cura di Marco Belpoliti).

Primo Levi non è noto per essere intervenuto mai nel dibattito musicale, e credo che la musica non rappresenti per lui uno degli interessi per i quali abbia voluto prendere posizione.Nonostante questo mi sembra che anche per queste ragioni si possa felicemente indagare insieme a lui se esista una sua dimensione musicale e se in qualche modo la musica rappresenta per lui una qualche curiosità. (…)
Primo, tu hai mai praticato musica?
«Quando avevo sei anni, come è usanza nelle famiglie borghesi, i miei genitori mi hanno invitato – anzi costretto – a seguire le lezioni di pianoforte. E io piangevo talmente che hanno dovuto per compassione sospendere questo tentativo; non che non ci riuscissi, riuscivo a fare gli esercizi prescritti, ma senza provare alcuna gioia, anzi questa posizione così forzata delle mani mi dava fastidio e siccome ero un piagnucolone piangevo. La mia educazione musicale attiva per così dire è finita qui».
Quindi un rifiuto quasi immediato, ma più per la costrizione delle mani.
«Sì, ricordo molto bene questo: si pretendeva una certa posizione delle mani, molto innaturale con il carpo abbassato e le dita alzate; ed era quasi doloroso. Si sono succedute due insegnanti di pianoforte e entrambe hanno dovuto rinunciare davanti alle grane che piantavo».
(…) Ma ti è mai successo poi di riproporti il problema musicale? Tuo padre ti portava ai concerti?
«Non mi ci portava, ma ci andavo io, negli anni ’35 e ’40 ho frequentato abbastanza i concerti. E mi sono poi trovato in qualche misura a dover scegliere tra due vie: la via della musica e l’altra. Studiavo tutt’altro, studiavo chimica, andavo in montagna, facevo tutte le cose che fanno normalmente i giovani, e per la musica c’era poco spazio. Ricordo molto bene però l’ingresso della musica in casa nostra sotto forma della prima radio a galena: è stata una rivelazione, veramente. Musica non ce ne era: mio padre suonava il pianoforte, ma non mi piaceva il modo in cui lo suonava, era un suonatore mediocre e molto fragoroso e quando suonava invadeva la casa». (…)
Cosa suonava?
«Suonava Beethoven; quasi solo Beethoven. (…) Questi ascolti pianistici paterni non mi dicevano molto, anche perché erano troppo ripetitivi. Viceversa l’ingresso della prima radiolina primitiva, con le cuffie, che ti portava la musica a casa, era un fatto drammatico: io passavo ore a non finire con le cuffie addosso, a sentire tutto, non solo la musica, anche le prime indimenticabili pubblicità della crema e dei primi shampoo. Mi ricordo molto bene per esempio di quando avevo sentito – avevo sei o sette anni – una musica che mi era sembrata bella, e avevo poi chiesto a mio padre perché si chiamasse “carne”. Ed era la Carmen».
C’è una curiosa assonanza considerando il tema della“Carmen”.
«Sì, è molto carnale».
Senti Primo tu mi hai detto che c’era un’evidente differenza tra occuparsi di chimica e interessarsi di musica…
«Chiaro che non c’è contraddizione tra studiare chimica e musica o qualsiasi altra cosa: mi viene in mente che Borodin, che io conoscevo come chimico, è assai più celebre come musicista che come chimico. Borodin aveva studiato gli acidi grassi inferiori, quelli più corti, del burro».
Mi viene voglia di conoscere Borodin come chimico, a questo punto. Io penso che troveremo delle curiose affinità non solo per il fatto che ci si può occupare di due cose anche del tutto divergenti insieme, ma vedo proprio delle affinità sostanziali tra il pensiero chimico, o l’oggetto della chimica, e il pensiero musicale, o oggetto della musica.
«Ne sono convinto; un ritmo c’è anche in una certa chimica».Per preparare la trasmissione ci siamo fatti una scaletta di musiche che in qualche modo avevano senso per te. La prima è questa musica tratta dall’Olandese volante di Richard Wagner. 
Mi puoi dire perché l’hai scelta?
«Non sempre è facile giustificare il perché di una scelta, è un po’ come innamorarsi, non puoi mica dire perché ti innamori di quella donna e non di un’altra, concorrono diversi fattori. Di questo posso dire quanto segue: lo canticchiava un mio caro amico, chimico anche lui, lo cantava bene, gli ho chiesto cosa era – questo forse nel ’41-’42 – e lui mi ha risposto solo: “è L’olandese volante”. Dopodiché pochi mesi fa è stato trasmesso per televisione e io ho ritrovato questo motivo che mi era rimasto. Apro una parentesi: avviene credo a me e a tutti che per i motivi musicali la memoria ha una marcia in più: si ricordano per tutta la vita, si incidono in modo indelebile. Queste poche battute canticchiate allora si erano incise e le ho ritrovate in questa eccellente versione dell’Olandese volante in televisione, ho imparato che era la danza dei marinai, ed è questa».
Questo primo brano è molto sonoro, molto marcato ed è anche di Wagner: hai particolari ragioni per odiare o amare Wagner? Ti sei posto questo problema in relazione a tutti gli eventi che sappiamo.
«Direi che ragioni di amarlo non ne ho; di odiarlo nemmeno, perché non sono facile all’odio; ragioni per diffidare di lui come ideologo certamente sì. Quanto alla sua musica per me, salvo questa parentesi, salvo questo caso fortunato, è rimasta inaccessibile; ho provato diverse volte di risalire la china e non ci sono mai riuscito. Mi sono rassegnato all’indecifrabile come mi avviene per molta musica moderna e antica».
Questa indecifrabilità in che cosa la riconosci? È la parola cantata che ti crea problemi? La lingua tedesca?
«La lingua tedesca la conosco abbastanza bene quindi non è questo il problema, ma la scarsa memorizzabilità: come tutti gli ineducati musicalmente mi piace portarmi via in tasca il motivo, e con Wagner non ci riesco mai, o quasi mai (salvo questo caso)».
Ma quando ti sei portato a casa un motivo, cosa ne fai?
«Lo canterei se sapessi cantare, qualche volta lo canto quando nessuno mi sente, magari lo suono anche sul flauto dolce – perché malamente suono il flauto dolce, molto male. Lo provo con le dita su una tastiera inesistente, me lo ripeto, lo fischio: me lo porto dietro in qualche modo».
E rivisitandolo – collegandoci al discorso della memoria che facevi prima – ti sembra di avere un di più?
«Certamente sì; il mio patrimonio musicale è estremamente scarso, però è un patrimonio, è qualcosa che mi porto dietro; questi vari motivi che ho scelto per questo ciclo di trasmissioni non sono dei capricci, sono delle cose a cui tengo abbastanza, per ragioni eterogenee: qualche volta per puri motivi musicali, altre volte perché sono dei sollecitatori di memoria, perché si ricollegano a qualche episodio della mia vita, a qualche cosa a cui ho assistito o che magari ho scritto».
Torniamo al momento in cui tu con l’ingresso della radio a galena hai incominciato a scoprire un po’ piú di musica, e all’episodio che mi raccontavi.
«Sì mi ricordo molto bene che ero raggomitolato in una poltrona. (...) Forse per la prima volta, certamente la prima volta che io mi ricordo, mi sono sentito toccato dalla musica per motivi strettamente musicali; non erano le parole, che non potevo capire».