la Repubblica, 29 maggio 2018
«Ne sono spariti 1500». Il caso dei bambini migranti perduti
Vengono in maggioranza dall’Honduras, dal Salvador, dal Guatemala, fuggono da una vita di stenti, dalle violenze delle gang e dagli abusi dentro casa, scappano per non finire nelle mani dei cartelli della droga o dei trafficanti di esseri umani (che spesso sono la stessa ditta) cercano un futuro migliore, una decente sopravvivenza, che politici, esercito e polizia dei loro Paesi non sono in grado di assicurare. Fuggono insieme ai genitori o anche da soli, bambini di ogni età, dai due ai dodici anni, sperando in quell’American Dream che fa sognare milioni di latino-americani. E a volte, troppo spesso, scompaiono nel nulla.
Nel dramma dell’immigrazione le vittime più indifese sono loro, questi bimbi e queste bimbe che una volta attraversato il Rio Grande – il fiume che per centinaia di chilometri divide il Messico dal “Southwest Border” degli Stati Uniti – non hanno molte scelte. A parte i pochi fortunati che ce la fanno, rischiano la vita (a centinaia vengono uccisi dal caldo e dalla sete dei deserti del “confine sud”, in Arizona, Texas, New Mexico e California) o se gli va meglio la cattura da parte delle guardie di frontiera. E una volta arrestati vengono divisi dai propri genitori (chi li ha), sparsi in centri di detenzione e poi affidati a famiglie, enti religiosi, orfanotrofi, ossia i vari “sponsor” ( così vengono definiti) che si prendono cura di loro. O almeno dovrebbero. Perché non tutti lo fanno. C’è chi ne approfitta subito, chi pianifica le cose, chi lo fa con buone intenzioni e chi pensa al proprio rendiconto e il risultato è drammatico: circa 1.500 bambini “illegali” sono scomparsi e nessuno sa con certezza che fine abbiano fatto.La cifra, illustrata circa un mese fa al Congresso da Steven Wagner, alto funzionario del ministero della Sanità e responsabile della “Administration for Children and Families”, è destinata rapidamente a salire. Per arrivare ai 1.500 bambini scomparsi sono stati infatti presi in esame solo gli ultimi tre mesi del 2017. Da ottobre a Natale i funzionari dell’agenzia federale che si occupa del “reinsediamento dei rifugiati” hanno provato a raggiungere 7.635 bambini affidati agli “sponsor”. Ne hanno identificati solo 6.075: 28 erano scappati, 5 erano stati espulsi dagli Stati Uniti, 52 si erano trovati una nuova casa, gli altri (per l’esattezza 1.475) sono dispersi.«Fai pressione sui democratici per porre fine alla orribile legge che separa i bambini dai genitori che hanno attraversato il confine negli Stati Uniti!». Pochi giorni fa Donald Trump ha cercato via Twitter di scaricare le colpe su Obama. Sul problema immigrazione la passata amministrazione non è esente da colpe (la migliore riforma sarebbe stata quella voluta da George W. Bush che gli stessi repubblicani bocciarono) ma il cinguettio dell’attuale presidente (che nello stesso tweet peraltro aggiungeva «continuiamo a costruire il Muro! I democratici stanno proteggendo i criminali MS- 13!», un riferimento alle gang) è un po’ ipocrita. Che la Casa Bianca non avrebbe fatto sconti – anche nel caso di bambini ( e addirittura neonati) – lo aveva spiegato il ministro della Giustizia Jeff Sessions ( «se un migrante porta un bambino attraverso il confine tra Stati Uniti e Messico sarà processato e quel bambino sarà separato dai genitori» ) e il Pentagono ha da poco varato una nuova direttiva: «I bambini clandestini verranno trasferiti in apposite strutture nelle basi militari Usa».