Corriere della Sera, 29 maggio 2018
Il mondo di Björk
Ciclopici fiori immaginari, maschere dalle forme sessualmente allusive, elettronica e flauti: ecco lo spettacolo che Björk ha costruito per il tour partito domenica da Londra e che giovedì passerà dal Primavera Sound di Barcellona e in Italia il 13 giugno al Just Music Festival di Roma. È la rappresentazione di un mondo ideale secondo la cantautrice islandese che a quel tema ha dedicato anche l’ultimo album «Utopia».
Cos’è l’utopia per lei?
«Qualcosa di molto personale, è la capacità e il coraggio di immaginare un futuro migliore, cercando di trovare il modo affinché questa immaginazione diventi realtà. Non mi interessava tanto studiare le vecchie versioni dell’utopia, ad esempio Tommaso Moro, ma più che cosa significhi oggi, nel 2018».
Le canzoni dell’album a volte hanno una lettura personale e intima, altrove i temi sono universali...
«Credo che i due elementi siano sempre connessi. Per alcuni utopia è l’idea di comprare una barca, una casa in campagna, andare a vivere a New York, sposarsi, fare molto sesso... Utopia è anche il coraggio di immaginare l’impossibile. Come ad esempio l’accordo sul clima di Parigi, che Donald Trump non ha firmato. Dobbiamo immaginare un mondo senza benzina, con oceani più puliti... Facciamolo».
La sua sembra una voce isolata: la musica sembra aver perso interesse per i temi sociali e politici. Come lo spiega?
«In realtà credo che ci sia molta musica che affronta temi politici. Quello che non c’è più è la politica del passato. I problemi di oggi sono più legati al razzismo e all’ambiente. M.I.A. e alcuni rapper parlano della situazione delle persone di colore».
Quando è scoppiato lo scandalo Weinstein anche lei ha raccontato il suo #metoo con i dettagli delle molestie sessuali ricevute da un regista danese senza nome (aveva recitato in «Dancer in the Dark» di Lars von Trier). Il music business sembra al riparo da quella tempesta...
«C’è una dinamica diversa nel mondo della musica. Scrivendo i brani per la colonna sonora di quel film mi sentivo indipendente e forte. Quando sei un’attrice, invece, diventi uno strumento del regista. Nel teatro è ancora peggio: ci sono secoli di tradizione di attrici che sono creta nella mani del regista».
Nei testi di «Utopia» è molto critica verso il genere maschile e parla di fallimento, peccati ed errori dei padri. Il percorso verso l’uguaglianza di genere è ancora lungo?
«Stiamo scrivendo una nuova costituzione globale e non sarà come i dieci comandamenti di Mosè. Uno dei comandamenti sarà: “Tratta la donna come tratteresti un uomo”. Un altro sarà: “Tratta tutte le razze allo stesso modo”. Un altro dei comandamenti dovrà essere sull’ambiente».
Si sente rappresentata dalla parola femminista?
«Mia mamma era molto attiva negli anni 60 e 70 e non avrei potuto fare ciò che ho fatto se non fosse stato per le donne della sua generazione. Ma ho anche capito che, se avessi ripetuto ciò che ha fatto lei, non avrei fatto passi avanti. Io e le donne della mia generazione siamo andate in giro per il mondo a fare cose. Non abbiamo solo parlato, ma abbiamo agito. Abbiamo smesso di fare gli uccellini che piangono in una gabbia aperta. Vola via e basta».
Anche questo show è concentrato sul nuovo disco con solo un paio di brani dal suo repertorio. Mette il pubblico alla prova?
«Non saprei come fare diversamente. Se andassi a vedere un concerto di un’artista che amo come Kate Bush, vorrei vivere il presente e ascoltare la musica che ha scritto in quel momento. È un modo per rendere il concerto più prezioso, più reale, più unico. Voglio che chi fa la spesa dell’acquisto del biglietto e la fatica del viaggio non si trovi a partecipare a una specie di karaoke».