Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2018
Libia, piano in 13 punti di Macron
Sarà l’ennesima conferenza destinata a cadere nel vuoto? Oppure il presidente francese Emmanuel Macron riuscirà laddove tutti i suoi predecessori (capi di Stato, Onu, organizzazioni internazionali) hanno fallito?
Rispetto alle altre volte la Conferenza sulla Libia oggi a Parigi, nel palazzo presidenziale ha dalla sua parte punti di forza. Perché parteciperanno non solo i maggiori rappresentanti delle diverse fazioni libiche, ma anche i Paesi stranieri che da tempo stanno esercitando la maggiore influenza sull’ex regno di Gheddafi. Sul fronte interno dovrebbero arrivare a Parigi il premier del Governo libico di accordo nazionale (Gna), Fayez Sarraj, il suo maggiore rivale, il generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica, il presidente della Camera dei rappresentanti Aguila Salah Issa e quello del Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri (esponente di punta dei Fratelli musulmani ed acerrimo nemico di Haftar). Oltre all’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassam Salamè. Sul fronte internazionale la platea è composta dai rappresentanti di 19 Paesi: i 5 membri del Consiglio di sicurezza Onu, l’Italia, i Paesi confinanti e le potenze regionali. La presenza di questi ultimi Paesi è determinante. Sono stati proprio loro a sostenere, finanziariamente, ma anche militarmente, i due blocchi rivali. Da un alto Qatar e Turchia, che hanno sempre sostenuto le formazioni vicine ai Fratelli musulmani presenti in Tripolitania. Dall’altro Egitto ed Emirati, alleati di Haftar che lo hanno aiutato nella guerra contro i gruppi islamici.
L’obiettivo di Macron è ambizioso: ricucire lo strappo tra le diverse anime della Libia e spianare la strada per le elezioni che lo stesso presidente francese, così come l’Onu, vorrebbero vedere già alla fine di quest’anno. Ma tra il dire e il fare c’è un mare, tempestoso, dove milizie rivali, che non intendono disarmarsi, si contendono il territorio. Il Paese resta spaccato in due: la Tripolitania dove comanda – in verità solo in parte – il Governo di Sarraj, e la Cirenaica di Haftar, dove il Parlamento di Tobruk, votato nel giugno 2014, da due anni si rifiuta legittimare Sarraj.
Il piano francese, in 13 punti, punta a risolvere problemi molto sensibili. A cominciare dalla sicurezza, con la formazione di quell’esercito libico nazionale che in sette anni non è mai venuto alla luce. Il disarmo delle oltre 100 milizie, quasi tutte restie a consegnare i propri arsenali, è il passo più complesso. Ma lo è anche fondere le milizie di Haftar – la forza più numerosa e meglio equipaggiata che il documento di Parigi sembra legittimare – con le forze governative, e le maggiori milizie, tra cui quella di Misurata, che fino a poco fa hanno fatto la guerra ad Haftar. II fatto che proprio ieri 13 milizie libiche, tra cui alcune tra le più importanti della Libia Occidentale (vicine a Sarraj), abbiano sottoscritto un documento che respinge la Conferenza di Parigi non è di buon augurio. Altro punto fondamentale è quello relativo al Governo di accordo nazionale nato dagli accordi di Skhirat,in Marocco, nel dicembre 2015, insediato a Tripoli nel marzo 2016,ma mai riconosciuto da Haftar.
Sul fronte economico, poi, Parigi propone da una parte di unificare la Banca centrale libica, dall’altra di smantellare le altre istituzioni parallele. In un Paese spaccato in due, le autorità che controllano la Tripolitania e la Cirenaica hanno da tempo creato due banche centrali “parallele”. La Banca centrale aveva amministrato le rendite petrolifere provvedendo poi a spartirle tra i due “Governi”. Ma all’interno dello stesso istituto gli esponenti delle fazioni rivali ne rivendicano da tempo la leadership.
Un altro punto fondamentale riguarda il referendum per l’approvazione della Costituzione (ancora in elaborazione). Secondo Parigi potrebbe tenersi «prima o dopo il voto». Ma,come hanno ribadito fonti diplomatiche italiane, l’approvazione della Carta dovrebbe precedere il voto.
Sul governo il documento prescrive: «La comunità internazionale riafferma la fiducia nelle istituzioni libiche: il Gna, la HoR (il Parlamento di Tobruk), lo Hsc (il Consiglio di Stato di Tripoli,una sorta di senato) e l’Lna (Esercito libero nazionale, diretto da Haftar e non riconosciuto dall’Onu)». Insomma sembra più un tentativo che punta a far contenti tutti al costo però di mantenere in piedi le istituzioni politiche che sono motivo di divisione.
Quella di oggi si presenta come una conferenza tutta in salita. Lo confermano le dichiarazioni di membri del Fratelli musulmani che hanno chiesto di escludere Haftar, dato per morto lo scorso aprile ma invece attivo. Parigi però vuole insistere. E questa volta, per quanto abbia scalzato l’Italia nel ruolo di mediatore internazionale per la Libia, ha cercato di indorare la pillola. «Il valore della cooperazione franco-italiana: sono anche i mesi di riunioni a vari livelli tra i nostri due Paesi ad avere portato alla conferenza di domani», ha reso noto l’Eliseo. Un tentativo per non ricreare quel clima di tensione con Roma seguito al vertice organizzato nel luglio 2017 da Macron, quando il presidente francese aveva ricevuto Sarraj (in quel periodo molto vicino a Roma) e Haftar, con cui Parigi intrattiene relazioni strette. Sdoganando, di fatto e unilateralmente, il generale che punta a divenire il presidente della nuova Libia.