Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 29 Martedì calendario

Senza fiducia più vicino l’aumento Iva

Senza la fiducia del Parlamento al governo Cottarelli l’aumento dell’Iva si avvicinerà a grandi passi. E anche il rischio di esercizio provvisorio diventerà molto elevato per l’impossibilità di rispettare la tempistica per il varo della legge di bilancio. Il no preventivo che arriva da M5S, Lega, Fdi e Forza Italia all’esecutivo incaricato dal capo dello Stato di portare il Paese alle nuove elezioni, mette a repentaglio i meccanismi di definizione delle misure di finanza pubblica per il prossimo anno. Anche di fronte a un invito univoco a disinnescare le clausole da quasi 12,5 miliardi per il 2019 del Parlamento nelle risoluzioni sul Def tendenziale targato Gentiloni che saranno votate dopo che il Governo si sarà presentato alle Camere, diventerà molto difficile per Carlo Cottarelli bloccare gli aumenti Iva senza un sostegno ampio puntellato da un preciso accordo e da una procedura ad hoc (che i partiti stanno valutando) sulle risorse da reperire per garantire la copertura dell’intervento. Un’ipotesi quest’ultima molto remota ma tecnicamente al momento da non escludere a priori.
In assenza di una maggioranza, il Governo dovrà dimettersi immediatamente e proseguire il percorso di gestione dell’ordinaria amministrazione già seguito dal Governo Gentiloni dall’inizio dell’anno. La diciottesima legislatura sarà dunque ricordata non solo per la sua breve durata ma anche per la sua vocazione all’esercizio degli “affari correnti”. Con il voto alla fine dell’estate o all’inizio dell’autunno, per l’esecutivo che si va formando sarebbe impossibile preparare il quadro programmatico del Def (da presentare entro la fine di settembre) e progettare l’archiettura della legge di bilancio. Anche il rispetto delle scadenze di metà ottobre per il varo della manovra e di quella della fine dello stesso mese per l’invio del documento di finanza pubblica a Bruxelles diventerebbe sostanzialmente impossibile aprendo la strada al rischio di esercizio provvisorio.
Il Governo che uscirà dalla prossima tornata elettorale avrà comunque la possibilità di varare la manovra e di disinnescare le clausole Iva entro il 31 dicembre. Se i tempi per la costituzione del nuovo esecutivo si dovessero rivelare lunghi, un passaggio obbligato sarebbe quello di chiedere a Bruxelles una proroga rispetto alle scadenze per la definizione dei provvedimenti di bilancio per il prossimo anno. Una disponibilità analoga era già arrivata dalla Commissione Ue lo scorso mese in occasione della presentazione del Def “tendenziale”. Un’ulteriore opzione potrebbe essere quella di ricorrere a un decreto legge di fine anno per lo stop agli aumenti Iva nel caso in cui la legge di bilancio non dovesse essere approvata prima del 31 dicembre. Ma è chiaro che con i tempi ristretti diventerà molto difficile recuperare le risorse necessarie per sterilizzare le clausole e far fronte alle cosiddette spese indifferibili (circa 2-3 miliardi) soprattutto nell’eventualità in cui da Bruxelles non arrivasse il via libera a utilizzare nuovi spazi di flessibilità in termini di maggior deficit.
Scongiurare l’aumento Iva, numeri alla mano, vorrebbe dire evitare aumenti medi fino a 317 euro per le famiglie italiane. A pagare il conto più salato potrebbero essere single e le coppie senza figli magari residenti nelle regioni del Nord e del Centro. L’importo più elevato in valore assoluto lo pagherebbero le coppie con due figli (439 euro). Almeno secondo l’analisi di un possibile aumento dell’Iva effettuata da Il Sole 24 Ore del Lunedì il 26 marzo scorso, applicando l’aumento delle aliquote Iva al 10,5% (ora è il 10%) e al 22,4% (ora è 22%), alla spesa media censita dall’Istat, tenendo conto delle diverse composizioni del paniere dei consumi a livello territoriale e per tipologia di famiglia. I calcoli sono effettuati ipotizzando parità di consumi e senza considerare l’eventuale inflazione, né l’impatto degli affitti figurativi rilevati dall’Istat. Fuori dagli aumenti le due aliquote più basse, quella al 5% (di impatto marginale) e quella al 4%, che si applica per lo più su alimentari di prima necessità: pane, pasta, latte e formaggi, frutta e verdura fresca.