Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2018
Quando al 2,8% si collocava a 50 anni
Fortunatamente, negli anni passati, il Tesoro è riuscito ad allungare la durata media del nostro debito pubblico grazie anche all’emissione di titoli a lunga scadenza, di «matusalem bond» a 50 anni che dovranno essere rifinanziati quando l’attuale classe politica sarà (nel caso migliore) ad occuparsi dei nipotini. Tuttavia, proprio dal confronto fra i bassi rendimenti di quelle emissioni a 50 anni e quelli offerti oggi dagli altri BTp si vede come è cambiata la capacità del nostro Paese di attrarre capitali.
Quando, nell’ottobre del 2016, il Tesoro ha collocato il primo bond a 50anni (BTp con scadenza 1 marzo 2067), gli investitori sono corsi a comprare e, per 5 miliardi di titoli da collocare, la domanda di sottoscrizione ha raggiunto i 18,5 miliardi (l’83% dall’estero) malgrado il tasso offerto fosse solo del 2,85 per cento. Oggi, a quel tasso, il nostro Paese non riuscirebbe ad attrarre investitori neanche su un BTp con una durata di 20 anni inferiore (i BTp a 30 anni sul secondario ieri garantivano un rendimento di oltre il 3,4%). Insomma, per trovare investitori disposti a ricevere interessi annuali del 2,85% lo Stato oggi deve emettere titoli a 10 anni e non a 50 anni e tornare a chiedere soldi al mercato nell’arco di due legislature (normali). La vita dei nuovi BTp si va accorciando.