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 2018  maggio 27 Domenica calendario

Anche i nazisti tedeschi attaccano la Lega

Nella scontata, pronta e generalizzata critica della stampa internazionale ai «populisti italiani che prendono Roma» (New York Times) la stampa tedesca è particolarmente pesante. Ad essa ha già replicato con il suo stile Matteo Salvini. Ma c’è una voce singolare in Germania. È quella dei populisti della «Alternativa per la Germania» (AfD) che sino ad ieri avevano parole di elogio per i loro (presunti) omologhi italiani. In particolare per la Lega di Salvini che stava per mettere con le spalle al muro la classe di governo italiana in nome del popolo, anche con il rifiuto dell’Unione europea o quantomeno dell’euro.
Ma adesso che la Lega si ostina a imporre nel governo, da essa proposto, l’economista Paolo Savona che dichiara l’euro «una gabbia tedesca», la AfD dà una lettura diversa. Parla di «insolenza» italiana, ripetendo pari pari quello che scrivono tutti gli altri giornali tedeschi, compresi quelli del tanto detestato establishment. Scrive l’AfD: «L’economia italiana regge perché i risparmiatori tedeschi sono costretti a finanziarla con centinaia di miliardi di euro». Naturalmente la colpa è della Merkel, di Juncker e di Mario Draghi ma stavolta la pretesa italiana va oltre ogni limite. «È la fine dell’euro. Questo governo italiano e il suo programma mettono gli ultimi chiodi sulla cassa da morto di una unione monetaria sbagliata sin dall’inizio». Sembra un elogio ma è una presa di distanza. Quello che sta a cuore ai populisti tedeschi è salvaguardare l’economia tedesca mantenendo i suoi attuali standard di benessere. E vogliono quindi la fine dell’euro per smettere di finanziare gli inaffidabili e inadempienti italiani – compresi i populisti. Il brutto paradosso è che i loro omologhi italiani della Lega vogliono la fine dell’euro per ragioni speculari opposte, per liberarsi della «gabbia tedesca».
Inutile dire che tutti questi modi di ragionare e di accusare sono irresponsabili. Ma oggi, al punto in cui siamo arrivati nella affabulazione pubblica e mediatica, come si può ricominciare a ragionare seriamente e chi può farlo?
Lo si sta forse facendo nella laboriosissima e confusa trattativa per la formazione del governo Conte? Quanto sta accadendo negli incontri e nei colloqui formali e informali del Quirinale ci pone davanti ad una tremenda semplificazione della decisione politica, dalle conseguenze imprevedibili.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si trova in una condizione inedita. Tocca a lui tenere presente gli interessi dell’intera comunità nazionale, rappresentare tutto il «popolo» sovrano nei termini costituzionalmente definiti: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Non appartiene ad una parte del popolo «che ha vinto le elezioni».
In questi giorni il Presidente incarna plasticamente nella sua persona «il popolo» costituzionalmente inteso, non quello esibito ossessivamente da chi si dichiara vincitore. È una situazione diversa da quelle che oggi opportunamente vengono ricordate, quando il Presidente di turno rifiutava l’incarico a qualche personalità di partito. In quelle situazioni infatti c’era una classe politica degna di questo nome, pur con tutte le sue differenze e tensioni interne, che accettava la logica politica costituzionale.
Oggi c’è una anomala concentrazione di responsabilità politica in due sole persone, Salvini e Di Maio, che nonostante le deferenze di rito verso il Presidente (sempre meno da parte di Salvini) ne farebbero volentieri a meno. Non capiscono che ci sta a fare.
Mentre scriviamo, non sappiamo se Salvini (e a ruota Di Maio) davanti ad una decisione a lui sgradita da parte di Mattarella, si comporterà in modo da rendere inevitabile la rottura delle trattative del governo costringendo di fatto alle elezioni anticipate. Un’ipotesi di governo del Presidente (questa volta inteso in senso forte e vero) non avrà alcun sostegno parlamentare.
Un punto però è chiaro, e va al fondo della incultura politica e costituzionale dei nostri populisti. Il «popolo» non è esclusivamente quello dei loro elettori e neppure quello di una ipotetica maggioranza numerica, che fa e disfa le leggi, infischiandosi di tutti gli altri, considerati malevoli o tonti. Il popolo è l’insieme di tutti i cittadini che si riconoscono nella Costituzione repubblicana e ne seguono le regole.