La Stampa, 27 maggio 2018
Gli hacker rubano i bitcoin
Due giorni fa l’Anti-Phishing Working Group, consorzio che censisce il crimini informatici, ha svelato come dall’inizio del 2017 siano stati rubati l’equivalente di 1,2 miliardi di dollari in criptovalute, compresa la miriade di quelle minori. Sul fronte italiano bisogna invece tornare ai primi di maggio e si ritrova lo sviluppo a sorpresa dell’indagine su un omicidio. Almeno una parte dei 187 mila euro della truffa a Gloria Rosboch, insegnante di Castellamonte (Torino) uccisa da un ex allievo, è stata investita in bitcoin, come rivelano i messaggi social decrittati dall’Fbi per la Procura d’Ivrea. Poche settimane prima il tribunale di Roma aveva stoppato il sito CryptTrade: accusa di abusivismo finanziario, prima segnalazione dalla Consob, rendimento mensile tra il 17 e il 29%.
Soprattutto: è notizia fresca la nascita, alla Direzione nazionale antimafia, di un’unità specializzata nel contrasto dei crimini che intorno al bitcoin si sviluppano, dopo che un mese e mezzo fa il magistrato Antonio Laudati (componente Dna) l’aveva definito «un’invenzione criminale». Sistema di pagamento virtuale che avviene attraverso un database distribuito fra i nodi della rete, il valore sale e scende in base alla domanda e all’offerta: oggi è attestato fra i 7.500 e gli 8 mila dollari, nei mesi scorsi aveva rasentato quota 11 mila. L’Italia teme quasi come un’ossessione che le cripto siano usate dalle mafie per ripulire capitali sporchi, oppure che chi le detiene finisca a sua volta nel mirino degli hacker. E il percorso a tappe forzate include un altro passaggio clou, che si materializzerà entro giugno-luglio a prescindere dai rivolgimenti sul nuovo governo.
Sarà operativo il decreto ministeriale che fissa una stretta senza uguali in Europa – perciò foriera di varie bordate da chi con i bitcoin lavora e guadagna legalmente – sia sui cambiavalute, sia sui gestori di wallet, i portafogli collettivi. Non solo dovranno iscriversi a uno speciale registro, ma comunicare a Bankitalia le operazioni sospette. E tutti i dati immagazzinati dal Ministero saranno squadernati a Guardia di finanza e polizia postale, in primis per indagini antiriciclaggio. Nella seconda metà del 2018 si concretizzerà insomma una schedatura su larghissima scala, sebbene le statistiche siano altalenanti nel certificare la contaminazione fra crimine e criptovalute. Se l’ultimo dato sui furti divulgato dall’Apwg rappresenta un record, uno studio eseguito in collaborazione tra gli analisti americani di Elliptic e il Centre on Sanctions of illicit financing, fissa una forbice tra lo 0,30 e l’1% di transazioni collegabili al riciclaggio compiute in esclusiva via bitcoin.
Il dossier di Sidney
Secondo un dossier dell’Università di Sidney, è invece legata ad attività illegali il 44% delle medesime operazioni, 72 miliardi di dollari all’anno. A scanso di equivoci, le Fiamme Gialle hanno inserito l’argomento per la prima volta in modo strutturato nelle circolari distribuite ai vari comandi, mandando scuola di cripto i propri investigatori insieme ai magistrati. Il primo esperimento lo ha avviato la divisione interregionale Nord Ovest (Lombardia, Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta) in collaborazione con l’Università Bicocca di Milano; mentre risalgono a due settimane fa le giornate di formazione speciale organizzate alla Scuola di polizia economica e finanziaria di Ostia.
«Nessuna criminalizzazione preventiva – spiega Giuseppe Vicanolo, generale e comandante del comparto nord occidentale -; ma in un paese dove la criminalità organizzata è tanto pervasiva, il re non può farsi trovare nudo al momento del bisogno». E ritiene che di fatto i detentori di bitcoin godano di un vero e proprio anonimato. Resta il fatto che altrove si s’è optato per strade diverse: Svizzera e Germania stringono non tanto sul rischio riciclaggio quanto sulla Ico (Initial coin offering), il sistema di raccolta fondi in crowdfunding per lanciare nuove monete virtuali; la Francia fissa filtri rigidi nell’offerta di derivati su criptovalute.