Corriere della Sera, 27 maggio 2018
Alexander Malofeev, fenomeno al piano di 16 anni
Tra i migliori ci si può ritrovare per caso, una volta. Ma quando le volte iniziano a moltiplicarsi il motivo deve essere solido. Alexander Malofeev può ormai leggere il proprio nome nelle principali stagioni concertistiche, a fianco dei suoi più illustri colleghi; a soli 16 anni. Accade anche al Festival Pianistico Internazionale: venerdì vi ha suonato Daniil Trifonov, ieri c’erano le scale (e le minigonne) vertiginose di Yuja Wang, stasera il teatro Grande di Brescia accoglie il ragazzo che ha raggiunto le vette dell’Olimpo musicale classico.
Ma non lo si chiami baby fenomeno, seppure sia un asso anche negli scacchi: «Se ti considerano fenomeno perché hai 15, 16 anni, vuol dire che dopo un paio di stagioni tornerai a essere un mediocre; io invece vorrei diventare un protagonista della grande cultura russa». Parlando di sé rifugge anche dall’appellativo di genio: «Deve passare almeno un secolo per poter attribuire questo termine a una persona: ora diciamo che Bach e Rachmaninov erano geni, io non posso rientrare nella categoria innanzitutto perché suono solo da 11 anni»; cioè da quando ne aveva 5. Però già a 8 suonava uno dei concerti più spettacolari e amati della letteratura pianistica, il Primo di Ciajkovskij: «È quello che ho suonato più spesso, molte volte con Valery Gergiev: la prima a 12 anni, dopo aver vinto il concorso ad Astana, poi ovunque, dal Giappone alla Finlandia, l’anno scorso alla Scala» dove il pubblico si è innamorato del ragazzino biondo e pallido che sa infuocare la tastiera. «Una volta ho anche suonato assieme a Gergiev: lui che dirigeva anche, io e Denis Matsuev solisti nel Concerto per tre pianoforti di Mozart».
Il programma che impagina è da far tremare le vene i polsi, tra l’Appassionata di Beethoven e la Settima di Prokofiev, Schubert e Lo schiaccianoci di Ciajkovskij trascritto da Pletnev. «Mi fa impressione suonare su palcoscenici importanti? Sinceramente no; per quanto riguarda il repertorio, se porto in pubblico certi brani è perché penso di farli bene». Una sicurezza che si radica nell’amore per la musica: «Assorbe tutta la mia vita e tutti i miei pensieri: ho capito di voler fare il pianista la prima volta che sentii un concerto, ho capito che avrei potuto diventarlo quando iniziai a vincere i concorsi. Se posso suono anche 12, 14 ore al giorno, ma non pensate che sia un ragazzo triste, strano o asociale: ho avuto un’infanzia normale, ho giocato e riso, oggi ho tanti amici e non solo alla Gnessin (la scuola moscovita per musicisti talentuosi, ndr). Inoltre seguo il calcio, tifo Dinamo Mosca e Barcellona. Semplicemente amo la musica alla follia e quando suono sono felice, appena posso mi metto al piano».
Senza mai diventarne schiavo: «Quando vado nelle grandi città per dei concerti mi piace prepararmi studiando i luoghi e la cultura, se posso visito palazzi e musei. Ad esempio in questi giorni vorrei scoprire qualcosa di Giacomo Quarenghi, architetto bergamasco che a San Pietroburgo fece il teatro dell’Ermitage e l’Accademia delle Scienze; mi interessano molto i vostri architetti, Aristotele Fioravanti ad esempio creò la cattedrale dell’Assunzione al Cremlino».
In questi giorni ha incrociato anche Trifonov e Wang: «Imparo sempre molto dal confronto con questi grandi; se penso a quanto mi ha insegnato Gergiev…». Ma anche qui non vuol dare l’idea del piccolo fenomeno tra i Grandi: «Spero che la gente non paghi il biglietto per assistere allo spettacolino del bambino-funambolo ma venga a teatro per godere della musica; non penso a esibire me, cerco di essere un tramite della Bellezza di Beethoven o Ciajkovskij; per questo sul palco mi sento sicuro e tranquillo: sono sulle spalle della loro grandezza».