Corriere della Sera, 27 maggio 2018
Addio a Castagna. Il bene estremo di chi perdonò il male assoluto
In famiglia e in fabbrica, che per lui furono quasi la stessa cosa, lo chiamavano tutti Carletto. Pochi giorni dopo la strage, prese da sotto l’ albero di Natale i regali che sua moglie Paola aveva scelto per il piccolo Youssef, li mise in un sacco insieme agli altri giochi del bimbo e portò tutto alla «Nostra Famiglia», una associazione di Bosisio Parini che ospita ragazzi disabili. Tenete, sono per voi.Carlo Castagna, scomparso ieri a 74 anni, è stato un mistero virtuoso. A nessuno interessa fare luce su qualcosa che per quanto incomprensibile già risplende di suo. Lo sappiamo tutti, l’eccezionalità del bene esercita sempre meno fascino della banalità del male. E poi nella storia nera di Erba l’alfa e l’omega furono così estremi da generare entrambi dubbi, sospetti, spiegazioni alternative. Sembrava eccessivo quel delitto, con l’inspiegabile e fredda ferocia dei vicini di casa che si accaniscono su una bambino, su una giovane donna, su due mature signore, bruciano tutto per non lasciare tracce, tornano a casa. Ma sembrava esagerato anche un perdono totale che appariva immediato, senza condizioni, come una resa al peggiore nemico. Lo fece subito, ad appena 48 ore da tutto quel sangue, quando ancora non si sapeva nulla. Percorse il vialetto della sua villa di Erba, aprì il cancello e disse che perdonava chi gli aveva portato via la moglie, l’unica figlia femmina, il nipote più piccolo. Chiunque fosse stato. Parlava di Spirito santo e di fede, e intanto piangeva.
Dalla porta finestra al primo piano, suo figlio Giuseppe, trattenuto dal primogenito Pietro, urlava a squarciagola contro Azouz Marzouk appena tornato dalla Tunisia, che intanto era apparso nel giardino. Con la sua faccia deformata dalla rabbia e dal dolore, sembrava lui quello normale. Carlo Castagna fece un gesto all’ospite inatteso, come a scusarsi di quel trambusto. Poi abbracciò l’uomo che gli aveva portato via quella figlia ribelle, che l’aveva convinta a convertirsi all’Islam, che l’aveva picchiata, viveva di piccolo spaccio e aveva costretto lui e la moglie Paola a sopportare cose che persone ordinate come loro mai avrebbero immaginato di affrontare. Ai funerali di Paola, Azouz entrò per la prima volta in una chiesa, depose un mazzo di fuori sul feretro, in un silenzio gelido, e fece per allontanarsi. Dal primo banco si allungò un braccio. «Tu resti qui, con noi». Lo fece sedere tra i sindaci del circondario e le loro fasce tricolori, imbarazzati dall’avere accanto «il poco di buono». Quando Olindo e Rosa stavano per essere condannati, arrivò a dire che non si augurava l’ergastolo. Ormai l’opinione pubblica ci aveva fatto l’abitudine alle sue dichiarazioni, al suo perdono continuo, all’invocazione di una Giustizia superiore, l’unica che per lui contava. Le aveva ripetute davanti alle telecamere, nel salotto di Bruno Vespa, in ogni occasione. I suoi due figli, così simili a lui, stessa stazza, stessi occhi e stessa barba, gli stavano sempre accanto. E un po’ si vedeva che all’inizio non erano d’accordo con tutta quella bontà.
Nel tempo, tra gli addetti al circo di Erba, si fece la fama del mistico, dell’uomo probo andato fuori di testa per il dolore. E tutto sommato non ci si è mai mossi da quella convinzione errata. «Per me conta solo il loro pentimento» disse di Olindo e Rosa in un libro scritto con la giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga che si intitolava, appunto, «Il perdono di Erba». Ma era la fine del 2009, altri delitti e altri misteri incombevano, da Amanda Knox allo zio di Avetrana. Adesso che non c’è più, bisogna riconoscere che lo stupore collettivo per quel perdono nasceva dall’ignoranza, nel senso della mancata conoscenza. In quei giorni Carlo Castagna praticò una coerenza con i suoi princìpi così feroce e determinata da sembrare fuori luogo a chi vedeva quell’uomo per la prima volta. Era un falegname che aveva cominciato facendo mobili nel retro del suo appartamento, e aveva costruito un piccolo regno. Nella sua vita non c’era stato altro che lavoro, famiglia e una fede incrollabile, vissuta con intensità quotidiana, a tenere insieme tutto. Cominciava e finiva le giornate pregando con la moglie Paola. Alle feste parrocchiali si metteva ai fornelli con la moglie e serviva i poveri. Lo ha fatto fino alle fine, dando in beneficenza metà dei suoi averi, compresa la casa della strage. Non lo chiamavano più Carletto, ma «signor Castagna», perché l’enormità di quel che aveva subito escludeva il ricorso ai diminutivi. Era l’unica differenza con il passato. Ci sono dolori che segnano una vita, e la annientano. Carlo Castagna è riuscito a rimanere se stesso. A non farsi cambiare dall’incontro con il Male assoluto.