Corriere della Sera, 27 maggio 2018
Brasile paralizzato dai camion
Neppure l’intervento delle forze armate – spauracchio vero, in un Paese che ha vissuto una lunga dittatura militare – ha archiviato lo sciopero che da sei giorni paralizza il Brasile. Il governo di centrodestra guidato da Michel Temer non riesce a spegnere una crisi che potrebbe prolungarsi fino alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre.
La protesta dei camionisti contro il rialzo del prezzo della benzina è ormai un’emergenza nazionale. I blocchi autostradali (oltre 500, secondo i dati ufficiali) hanno provocato scene degne di un Paese in guerra: pompe di benzina chiuse, ospedali senza medicine, supermercati con gli scaffali vuoti e molti aeroporti costretti a cancellare i voli per mancanza di carburante. I produttori di carne hanno avvertito che un miliardo di polli e due milioni di maiali rischiano di morire di fame. Brasilia e molte altre città hanno sospeso le lezioni nelle scuole. San Paolo è andata anche oltre: la metropoli che conta 12 milioni di abitanti e ha fama di essere la più ricca del gigante sudamericano, ha decretato lo stato d’emergenza e quindi la confisca della benzina.
Il presidente Temer le ha provate tutte: mercoledì ha convinto l’azienda petrolifera statale Petrobras – protagonista di molti scandali, assieme a gran parte della classe politica – a ridurre almeno del 20 per cento l’aumento della benzina. Una misura ritenuta insufficiente dai camionisti. Giovedì il governo ha quindi deciso di abbassare del 10% il prezzo del diesel, congelandolo per un mese e caricando la differenza sulle casse statali. Anche questo non ha però convinto l’ala dura dei sindacati. Così venerdì Temer – indice di popolarità inferiore al 5% – ha usato l’ultima carta a sua disposizione: i militari.
Il sindacato ha ordinato la «ritirata» degli autisti e le forze armate hanno iniziato a scortare i camion-cisterna fino alle raffinerie, in particolare verso quella di Duque de Caxias, fuori Rio de Janeiro. Ma sulle autostrade ieri rimanevano centinaia di blocchi; gli irriducibili si rifiutavano di gettare la spugna, nonostante la minaccia di multe pesantissime, soprattutto lungo le arterie che collegano San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte, oltre alle strade di accesso ai porti.
Comunque vada a finire, la crisi ha dimostrato che Temer non è più in grado di governare la principale azienda statale: una volta il presidente del Brasile poteva «gestire», artificialmente, il prezzo del combustibile; ma dopo l’impeachment della presidente Dilma Rousseff, il suo vice e sostituto Temer ha concesso a Petrobras di stabilire in modo autonomo le tasse sui combustibili. In due anni il prezzo della benzina è così quasi raddoppiato.
Venerdì il Fondo monetario internazionale ha confermato quanto sia «fragile» l’economia brasiliana che dopo gli anni del (presunto) boom che accompagnò il lancio delle Olimpiadi 2016 oggi convive con pesanti oscillazioni monetarie e lo spettro della recessione. Il rapporto del Fmi prevede una «crescita poco incoraggiante» senza una riforma del settore pubblico e bancario. E, in parte, dà ragione agli autisti, quando denuncia che il sistema tributario brasiliano (e il suo impatto sui prezzi) deve essere semplificato.
In Brasile cresce il malcontento. Disoccupazione e povertà sono in aumento, il Fondo monetario chiede una «leadership forte» ma finora non si vede all’orizzonte nessun candidato forte o carismatico per le presidenziali di ottobre. Fuorigioco l’ex presidente ed ex favorito Lula, in carcere con una condanna a 12 anni per corruzione, escluso Temer, che ha già annunciato di volersi fare da parte, difficilmente farà breccia nei cuori della popolazione il ministro dell’Economia, Henrique Meirelles. Un vuoto di potere pericoloso. Anche per questo gli osservatori considerano molto rischioso coinvolgere le forze armate.