Corriere della Sera, 27 maggio 2018
Gli analisti avvertono: attenti, potreste non avere più accesso al debito
Dopo cinque anni, l’Italia è di nuovo sotto i riflettori degli analisti e degli investitori internazionali, gli stessi che devono decidere se dare credito al Paese. In gioco non c’è solo il finanziamento del debito e del deficit pubblici, dai quali dipendono funzioni vitali come il pagamento degli stipendi, delle pensioni o il funzionamento stesso del sistema sanitario. Il giudizio di chi deve decidere se investire le proprie risorse in Italia è importante per esempio anche per le banche, il cui accesso alla liquidità e la capacità di fornire credito a famiglie e imprese dipendono dalla fiducia del resto del mondo nei confronti del Paese.
Ciò che i principali osservatori esteri sostengono sul caso italiano può avere dunque conseguenze concrete. L’intervento più influente di questi giorni viene da Olivier Blanchard, l’ex capoeconomista del Fondo monetario internazionale oggi al Peterson Institute for International Economics di Washington. In un’analisi firmata con Jeromin Zettelmeyer e Silvia Merler, Blanchard scrive: «Una crisi di debito in Italia sarebbe orrenda per due ragioni: primo, non è stato sviluppato nessuno strumento di stabilizzazione dell’area euro che sia in grado di salvare l’Italia», che rischia di perdere l’accesso a qualunque forma di liquidità della Banca centrale europea se i suoi rating fossero tagliati sotto il grado «investimento».
A quel punto il Paese sarebbe costretto a uscire dall’euro anche contro le proprie intenzioni, per urgente bisogno di avere una moneta circolante nella propria economia. Secondo Blanchard, ciò che renderebbe «orrenda» una crisi di debito in Italia sono, secondo punto, le dimensioni e le interconnessioni del Paese. Scrive l’economista: «La Bce userebbe tutti gli strumenti disponibili per limitare il contagio, quindi l’euro potrebbe sopravvivere a un’Italexit». Invece «l’Italia entrerebbe in una profonda recessione. Ridenominare (in una nuova valuta, ndr) attività e passività delle imprese e delle banche italiane innescherebbe bancarotte e conflitti legali. La tensione che ne risulterebbe farebbe sembrare poca cosa quella della crisi del 2010-2012».
Blanchard peraltro definisce il «contratto» fra M5S e Lega, «una ricetta per arrivare a una crisi di debito» e prevede che un passo indietro nell’attuazione dei piani di spesa e di tagli di tasse a debito «probabilmente non avverrà in modo volontario» da parte delle due forze politiche. L’ex capoeconomista vede difficile una correzione della traiettoria dell’eventuale nuovo governo «prima di una escalation». Solo a quel punto, in una situazione di crisi ormai aperta, la parte prevalente della società italiana che non vuole la rottura con l’Europa obbligherà la maggioranza a cambiare rotta. Di qui la conclusione di Blanchard: «Una catastrofe europea potrebbe essere evitata. Ma il costo potrebbe essere comunque alto, sia per la coesione politica e sociale dell’Italia che per il futuro dell’Europa».
Un recentissimo rapporto di Goldman Sachs indaga poi le ragioni specifiche dell’instabilità che si è scatenata sui titoli italiani nelle ultime due settimane. «I mercati sembrano più sensibili alle notizie sulla partecipazione dell’Italia all’euro che sull’espansione del deficit – scrive la banca d’affari americana – a patto che i piani di bilancio contenuti nel programma della coalizione siano sostanzialmente ridotti». In altri termini, per Goldman Sachs ciò che sta mettendo in fuga gli investitori e i risparmiatori dall’Italia (anche gli stessi investitori e risparmiatori italiani) è il timore di natura sistemica che un nuovo governo voglia davvero uscire dall’euro e ripagare i debiti in una moneta svalutata. Invece secondo Credit Suisse, la banca svizzera, «i piani di bilancio proposti amplieranno sostanzialmente il deficit e potrebbero minacciare il “grado investimento” nel rating dell’Italia e con esso la partecipazione alle operazioni della Bce» (gli acquisti di titoli di Stato e la fornitura di liquidità alle banche).