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 2018  maggio 22 Martedì calendario

Biografia di Paolo Savona

«La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?». Tutta da leggere, l’autobiografia del papabile ministro dell’Economia Paolo Savona, a giorni in libreria. Non mancandogli curriculum di prim’ordine (università, Banca d’Italia, Confindustria, ministeri, grandi aziende) e prosa raffinata e puntuta, dotte citazioni si alternano ad aneddoti gustosi e ricordi non privi di veleno. Le battute di Cossiga, il viaggio con Gianni Agnelli, le confidenze di Carli, le incomprensioni con Ciampi, la rivalità con Prodi e Bernabé. Le sue tesi sono espresse con chiarezza e senza reticenze. Lette in questi frangenti assumono i caratteri di un manifesto. Del resto, scrive, «sono un economista politico e non un economista puro».
Sostiene Savona che l’Italia ha due fragilità strutturali – le rendite e l’assenza di una cultura della legalità – aggravate, a partire dal 1992, dalla scelta frettolosa e dissennata di entrare «nella gabbia europea». Il «meritevole» europeismo dei princìpi è «destinato al fallimento per l’insufficiente architettura istituzionale».
«L’euro è una creatura biogiuridica costruita male» con una modifica di fatto della Costituzione, attuata con leggi ordinarie da Parlamenti impreparati e superficiali, subordinati a «élite che illudono i popoli». Carli e Ciampi lo sapevano che non eravamo pronti, ma non volevano rimanere fuori dalla porta. Confidavano che il tempo avrebbe migliorato la situazione. «Invece è peggiorata».
L’esproprio di sovranità monetaria è stato letale, per un Paese fortemente indebitato come l’Italia, in assenza di una «politica comune dei debiti sovrani». Inoltre «l’euro ha dimezzato il potere d’acquisto degli italiani, anche se le autorità lo negano».
L’integrazione politica e monetaria, scrive Savona, amplia i divari e privilegia i più forti. La generosa politica monetaria della Bce di Draghi è una falsa soluzione: non si trasmette all’economia reale.
Ai Paesi in difficoltà, «autorità prive di dignità» impongono politiche di austerità che «aggravano la depressione economica» e vengono «irresponsabilmente accettate» come in Italia nel 2011. Siamo «scivolati in una nuova condizione coloniale, la stessa sperimentata dalla Grecia».
La Germania è accusata di aver sostituito la volontà di potenza militare con quella economica: esporta deflazione violando le regole, ma non paga dazio. Indurla a cambiare è idea «senza speranza».
Diretto l’attacco a Monti e Draghi, accusati di aver «facilmente cambiato parere» sugli effetti negativi dell’euro sul sistema bancario italiano, dopo aver concorso a decisioni pregiudizievoli per l’Italia «deliberatamente ignorando chi le sconsigliava, senza sentire il dovere di offrire le proprie dimissioni una volta accertato l’errore». A Monti è poi riservata anche la definizione di «portabandiera del servilismo agli interessi dei poteri dominanti» ed emblema di stuoli di economisti conformisti «con i quali, sodali compresi, non ho nulla a che spartire». Al governatore di Bankitalia Ignazio Visco imputa di non essersi opposto «nelle sedi opportune» alle regole sul bail-in bancario salvo criticarle a posteriori e, «cosa assai più grave, di aver omesso di avvertire il Parlamento dell’errore che stava compiendo, visto che era cosciente delle conseguenze». Anche la Vigilanza bancaria viene messa all’indice per «incongruità e misfatti nella protezione del risparmio» e per aver ritardato i salvataggi bancari, dilatando i costi per i contribuenti, con errate previsioni di ripresa post 2008.
Quanto allo scenario politico, Savona scrive che l’oppressione dei popoli da parte delle élite produce «ribellioni liquidate come populismo», che non esitano a rivolgersi a «partiti che hanno espresso soluzioni confuse e velleitarie». Il divieto costituzionale di referendum sull’Unione europea e sull’euro è «la più chiara violazione dei princìpi democratici». Dietro «il paravento della liberaldemocrazia, c’è una concezione sovietica. La conseguenza è un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza militarismo».
Se «l’Ue è viziata» da «innata ingiustizia» e ci porta «indietro di secoli nelle conquiste democratiche», che fare? «Battere i pugni sul tavolo non serve a niente – argomenta -. Bisogna preparare un piano B per uscire dall’euro se fossimo costretti, volenti o nolenti, a farlo». L’alternativa è «fare la fine della Grecia».