La Stampa, 13 marzo 2018
Un italiano su quattro a rischio povertà
Misurare i livelli di povertà non è affar semplice. Gli economisti fanno di tutto per avvicinarsi il più vicino alla realtà, e i risultati non sono per nulla confortanti. Nel 2016 quasi una persona su quattro nel Belpaese era a rischio povertà. Secondo l’ultima indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie la quota di individui in difficoltà (con un reddito inferiore al 60% della media) è salita al massimo storico del 23 per cento: dieci anni prima, nel 2006, erano poco meno del 20. Per gli immigrati l’incidenza di questa condizione è salita dal 34 al 55 per cento. Per «poveri» la Banca d’Italia – così come Eurostat – intende redditi inferiori agli 830 euro mensili.
Lo strumento principe per la misurazione del rischio di diseguaglianza resta quello inventato il secolo scorso dallo statistico Corrado Gini. L’indice nel 2016 è salito al 33,5 per cento, mezzo punto in più del 2014, uno e mezzo rispetto a dieci anni prima. Siamo tornati ai livelli della seconda metà degli anni novanta, prima dell’avvento dell’euro. Come ormai emerge da tutti gli indicatori, le persone più a rischio sono i giovani: per i capofamiglia di età inferiore ai 35 anni l’incidenza passa dal 22,6 per cento del 2006 al 29,7 del 2016; per quelli tra i 35 e i 45 anni si sale dal 18,9 per cento al 30,3.
Il problema non è solo l’aumento in sé del numero dei poveri, ma gli scarti crescenti nella ricchezza fra classi di reddito. Non si tratta di un fenomeno nuovo, né di una faccenda solo italiana, ma non per questo fa meno impressione: nel 2016 il cinque per cento più benestante deteneva il trenta per cento della ricchezza complessiva. Dall’altra parte delle statistiche c’è il trenta per cento più povero: loro possedevano appena l’un per cento del patrimonio totale. Come raccontato nei giorni scorsi dalla Stampa, nel 2016 si è invece interrotta la caduta iniziata dopo la crisi del 2007-2008 del reddito medio delle famiglie, pari a 30.700 euro l’anno.
Nonostante l’inversione di tendenza, il reddito equivalente resta però undici punti sotto quello del 2006. Il reddito medio equivalente è quello che misura il benessere individuale tenendo conto della dimensione familiare: è risalito a 18.600 euro, tre punti e mezzo in più del 2014. La ricchezza (al netto delle passività finanziarie) è scesa invece di circa il cinque per cento, in gran parte a causa del calo del valore delle case. A proposito di case: circa il 70 per cento degli italiani sono tuttora proprietari dell’abitazione in cui risiedono. Ma a conferma delle difficoltà in cui versano i più giovani, la quota di proprietari nei quali il capofamiglia ha meno di 45 anni è scesa dal 59 per cento del 2006 al 52 del 2016. Il campione di circa settemila famiglie ha risposto che il valore medio delle abitazioni nel 2014-2016 è stato di circa 1.800 euro a metro quadro, sette punti in meno del 2014, il 23 sotto il 2006, prima della doppia crisi che ha mandato al tappeto il benessere faticosamente conquistato dagli italiani dopo l’avvento dell’euro.
Twitter @alexbarbera