il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2018
Il grigio funzionario finito ai vertici per caso
Il primo dato che colpisce di Maurizio Martina sono gli anni: non ne ha neanche 40, li compie a settembre, eppure fa politica dal liceo. In un quarto di secolo, Martina è sopravvissuto ai capi di partito, alle sconfitte elettorali, a una mutazione ideologica che l’ha portato dalla sinistra al renzismo e adesso oltre.
Il segretario reggente, traghettatore del Nazareno verso l’ignoto dopo la batosta del 4 marzo, è la figura perfetta perché incarna la mediazione intellettuale e la modestia mediatica: di Martina non si ricorda niente, se non la serie di incarichi che ha accumulato. Non c’è una gaffe, una frase, un’espressione che aiuti a riconoscere Martina. Ha sempre la stessa (bonaria) faccia serena. Soltanto l’autunno scorso, per l’uscita del volume che compendia la sua esperienza di ministro per l’Agricoltura (Dalla Terra all’Italia, Mondadori), si è lasciato andare in una posa un po’ renziana per la camicia bianca e un po’ bersaniana per le maniche arrotolate. Perfetta sintesi della capacità di Martina di legarsi a tutti e dunque a nessuno. Nel ‘99, a 21 anni, entra nel consiglio comunale di Mornico al Serio da indipendente; il sindaco è un tizio in orbita Comunione e Liberazione. “Fra Martina”, l’ex comunista adolescente di famiglia operaia e molto cattolico, però, rinnega quel sistema che per un’epoca infinita ha sostenuto Roberto Formigoni. Ha accompagnato i Ds fino alla fusione con la Margherita, ma solo grazie all’accordo con Enrico Letta – che sfidava Walter Veltroni – è diventato segretario del Pd lombardo. In quel momento – è il 2007 – Martina era della corrente di Piero Fassino, di quella di Veltroni e un po’ per convenienza di quella di Letta. Poi è arrivato Pier Luigi Bersani e il capolavoro delle Regionali 2010 con la candidatura di Filippo Penati, battuto 56 a 33 da Formigoni. La carriera di Penati si è fermata con le inchieste giudiziarie. Quella di Martina è proseguita di corsa. Nel 2013, il consigliere regionale Martina è pronto per Montecitorio. Bersani gli conserva un posto nei listini bloccati del Porcellum senza passare per le parlamentarie. Martina era reduce da un altro successo: per il comune di Milano ha sostenuto Stefano Boeri contro Giuliano Pisapia. Martina aveva sbagliato cavallo, di nuovo.
Respinto dagli apparati del Nazareno, torna al Pirellone con un seggio, ancora in minoranza, nel gruppo di Umberto Ambrosoli, poi battuto dal leghista Roberto Maroni. Letta, un paio di mesi dopo, lo chiama come sottosegretario alle Politiche agricole. Renzi lo promuove ministro e Martina torna a Milano per gestire Expo. E lui ricambia spingendo la Coldiretti a schierarsi per il Sì al referendum. Poi scompare. Non se ne accorge nessuno. Finché ancora Renzi lo schiera da vicesegretario per sbaragliare la minoranza: infatti Martina, per qualche mese chissà, è stato anche cuperliano, cioè nell’area di Gianni Cuperlo, a sua volta di area D’Alema-Bersani. Qualche tempo fa Martina ha alzato un po’ i toni in tv con Roberto Speranza, lo scissionista, e dal Nazareno si è scatenato un giro di telefonate per comunicare il lieto evento. A volte Martina s’incazza. Poi si siede.