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 2018  marzo 13 Martedì calendario

La ripresa ha fame di tecnici e ingegneri

BERGAMO Alla Polidoro, produttrice di bruciatori a gas, una delle aziende del distretto della scienza e della tecnologia di Schio, hanno appena lanciato un nuovo piano di assunzioni: cercano 34 tecnici qualificati per l’area produttiva e per il centro di ricerca sulla combustione, oltre 1.300 metri quadrati in un bellissimo edificio cui si accede attraverso un ponte in acciaio sopra il giardino. Come per i 150 contratti firmati nell’ultimo anno dai fratelli Dalla Vecchia, che hanno ereditato l’azienda dal padre, la caccia è difficile, a tratti disperata. Si cercano giovani usciti dagli istituti tecnici della zona: Schio, Vicenza, Bassano del Grappa. Ma i neodiplomati sono una frazione rispetto alla domanda e le aziende se li contendono con le buone e qualche volta con le cattive maniere. E allora la Polidoro ha lanciato la selezione su tutto il territorio nazionale: a chi è disposto a trasferirsi a Schio («e anche a fare i turni nei weekend e di notte, cosa che ai giovani riesce difficile digerire», spiega Laura Dalla Vecchia) l’azienda offre un appartamento a Schio, affitto pagato. «Non cerchiamo mica Einstein, ormai siamo rassegnati a prendere anche giovani non particolarmente qualificati. Ci accolliamo noi l’oneri di formarli, ma è difficile anche così».
Il problema, nel Nord Est che vive un imprevedibile (fino a qualche anno fa) rilancio dell’industria manifatturiera, non è nuovo. La carenza di personale qualificato, dai tecnici agli ingegneri, è anzi ormai cronica. Ma ci sono due fattori che negli ultimi mesi l’hanno fatta diventare una vera e propria emergenza. Il primo è ovviamente la congiuntura: le esportazioni vanno alla grande, anche il mercato nazionale mostra segnali incoraggianti, gli ordini, di conseguenza, crescono a ritmi sostenuti (alla Polidoro «oggi siamo a più 20% e non so se riusciremo a farli tutti»): urgono assunzioni per far fronte all’aumento della produzione.
La seconda ragione, figlia della prima, è la nuova spinta agli investimenti delle aziende.
Impressa dalla congiuntura finalmente favorevole, ma anche dal piano Industria 4.0 con i suoi incentivi al rinnovamento tecnologico degli stabilimenti.
Per sfruttare le condizioni favorevoli offerte dal governo uscente le aziende hanno ripreso ad acquistare robot e macchinari ad alta tecnologia. Dunque le prime a dragare il mercato del lavoro sono state le aziende produttrici di beni strumentali.
Poi sono arrivate tutte le altre e si sono trovate alle prese con una ricerca ardua.
Da Bergamo ai confini con la Slovenia è così praticamente ovunque. La Itema di Colzate, provincia di Bergamo, telai per l’industria tessile, cerca ingegneri per la progettazione e tecnici per il ciclo produttivo. Ne ha assunti alcuni da poche settimane, ne cerca un’altra decina. Il gruppo Streparava di Adro (Brescia), automotive, 850 dipendenti, ha un piano di 100 assunzioni nel prossimo futuro: «Ci servono ingegneri, tecnici e operai specializzati – spiega Paolo Streparava – ma le figure tecniche che soddisfino i requisiti sono pochissime. Mancano non solo i profili ideali, ma pure quelli che ormai siamo rassegnati a farci andar bene… Li formeremmo noi, ma non ci sono. In compenso continuo a ricevere curriculum di laureati in giurisprudenza».
Stessa musica alla Fonderia di Torbole, 6 chilometri a Ovest di Brescia: «Cerchiamo periti meccanici, meccatronici ed elettronici – dice Paolo Frigerio – Noi facciamo circa 40 assunzioni all’anno, ormai siamo ridotti a contenderci il personale con le altre aziende del nostro stesso settore». L’Associazione degli industriali bresciani stima per la Lombardia, da qui al 2021, un fabbisogno occupazionale di 137mila unità, di cui oltre 50mila nei comparti della metallurgia e della meccanica. Per soddisfare la necessità di tecnici la Feralpi di Lonato collabora da anni con l’istituto tecnico locale: «Il dialogo tra mondo del lavoro e scuola fino a poco tempo fa non esisteva. Ora le cose vanno meglio, le iscrizioni a istituti tecnici e ITS crescono.
Ma la semina è lunga…» dice il presidente Giuseppe Pasini.
Più a Est, la Lafert di San Donà di Piave (Venezia) produce motori elettrici: «Il nostro budget per il 2018 prevedeva una crescita del 7-8% ma in questi primi mesi gli ordini segnano più 20%», dice l’imprenditore Luca Trevisiol.
Lafert cerca quadri manageriali, ingegneri junior, periti meccanici, elettrici, elettrotecnici: «Ma portarsi a casa personale qualificato è una battaglia: le grandi aziende li “pignorano” già all’ultimo anno degli istituti tecnici e delle facoltà universitarie, il loro appeal è ovviamente superiore». La Fitt di Sandrigo (Padova), materiale termoplastico, dà la caccia a ingegneri e tecnologi di processo, specialisti di materie plastiche e tecnici di produzione. «I nostri istituti di formazione – spiega Alessandro Mezzalira, figlio del fondatore – non preparano le figure professionali capaci di processare le materie termoplastiche in linea con la rivoluzione digitale che siamo obbligati a introdurre se vogliamo stare sul mercato». «Il piano Industria 4.0 – aggiunge Federico Visentin della Mevis, mollificio di Rosà, provincia di Vicenza – stimola ad accentuare il tasso di innovazione dell’azienda. Ma non posso mettere le nuove tecnologie in mano agli anziani attrezzisti. Ho bisogno di giovani qualificati, che non trovo». Mevis prevede nuove assunzioni: sempre meno generici, sempre più tecnici. «Il primo ostacolo è quello dell’immagine della vecchia industria meccanica grigia, triste e magari maleodorante. Non è più così da parecchi anni, ma il cliché resiste, il lavoro in fabbrica è ancora visto come l’ultimo dei ripieghi».
Prova a guardare il problema da un’angolazione diversa Paola Artioli, imprenditrice dell’Aso Siderurgica di Ospitaletto, provincia di Brescia, che sta progettando una forgia completamente automatica per la quale prevede di assumere giovani tecnici specializzati e ingegneri: «Noi imprenditori pretendiamo un po’ troppo dalla scuola. Io credo che neppure la migliore possa darci ciò di cui abbiamo davvero bisogno». E allora? «Allora dovremmo fare lo sforzo di guardare il potenziale delle persone, oltre al curriculum. Non soltanto le competenze tecniche ma l’attitudine alla crescita personale e professionale, la capacità di lavorare in team e di prendere decisioni». Prima l’uomo, poi il tecnico.