la Repubblica, 13 marzo 2018
Martina, il leader a tempo che punta a restare. Con Delrio è già diarchia
ROMA Un giorno gli domandarono in tv: «Ma lei non sarà un po’ troppo democristiano?». «Lo considero un complimento», sorrise Maurizio Martina. Tutti adesso sostengono che il reggente del Pd si muova da doroteo.
Sempre in maggioranza, solo che stavolta la maggioranza è lui. O meglio, assieme a Graziano Delrio ha in mano le chiavi del partito, gli equilibri dei gruppi parlamentari, in fondo anche il futuro di Matteo Renzi. Può costringerlo in minoranza, oppure rianimarlo. E comunque: Martina segretario per un paio di mesi, sulla carta. Però che mesi, i più delicati della storia del Pd. Leader pro tempore, ma si sa: da cosa nasce cosa e nessuno può scommettere quando davvero finirà questa reggenza.
Guerra per finta doveva essere, guerra per finta si è confermata la direzione di ieri. E lo stesso valga per i “bravo Martina”, “avanti Martina” che tutti i big dem, renziani e antirenziani, hanno tributato al traghettatore. Per chi è diventato ministro a 35 anni, scalando la Sinistra giovanile e poi i dem, un sogno da preservare.
Come? Trasformandosi nel punto d’equilibrio da consolidare. La verità, però, è che nei sotterranei del Nazareno già si combatte la sfida della vita: quella per i nuovi capigruppo.
Sta tutto in due elenchi: neo eletti Camera, neo eletti Senato. Ci lavorano da giorni gli uomini del Giglio Magico, li stropicciano dal 5 marzo gli avversari di Renzi. Una conta, quanto brutale lo decideranno proprio Martina e Delrio.
Prendiamo Palazzo Madama. Là Renzi rischia tutto. Gli eletti dem sono 53, per mandare sotto il leader di Rignano bisogna toccare quota 27. Boschi e Lotti lavorano d’intesa, come mai prima d’ora.
Incontrano e propongono, esattamente come i loro avversari. Spulciano i curriculum delle matricole. Il risultato? Ci sono 19 renziani purissimi, oltre a 3 uomini di Orfini: fa 22. Contro, 14 senatori dell’Area dem di Dario Franceschini, 3 di Andrea Orlando, 1 di Michele Emiliano, più altri 7 difficili da catalogare, ma comunque non renziani: siamo a 25. Decide tutto chi sta nel mezzo, 6 senatori che rispondono a Delrio, Martina e Gentiloni.
È la foto della “corrente di governo”. Può ribaltare il tavolo, oppure salvare il “senatore semplice di Scandicci” che detta ancora la linea. Se decidono di aiutare Renzi, possono garantirgli l’elezione di uno dei due nomi a lui graditi: Dario Parrini o Teresa Bellanova. Altrimenti, imporre un avversario del renzismo.
Negli ultimi giorni, Martina ha parlato con tutti. Non ha neanche potuto vedere la partita dell’amata Atalanta, per riflettere con Franceschini e Gentiloni, Orlando e Cuperlo. L’asse ha retto in direzione. Più complicato, invece, il dialogo con Graziano Delrio. Il ministro è snodo vitale per il futuro del Pd, ma attraversa la crisi del renzismo incarnando un paradosso quasi esistenziale: può il primo dei renziani non essere più d’accordo con il capo?
Si è quasi mimetizzato, in queste ore. «Le colpe non sono solo di Renzi – ha confidato Delrio ai big che l’hanno cercato – ma certo anche Matteo ha le sue». Vive un rovello, quello di chi non vuole «voltare le spalle» al leader, ma neanche assecondarne le mosse.
Il problema è che sempre dal ministro di Reggio Emilia si passa, anche per la sfida di Montecitorio.
Su 113 deputati dem, 56 sono renziani, più i 4 di Orfini. Dunque 60, e per la maggioranza ne occorrono proprio 57. Ma le casacche, si sa, si confondono nel vento della sconfitta. Boschi, comunque, preme per confermare Ettore Rosato capogruppo, mentre il nome di Lorenzo Guerini, che di Delrio è sodale e di Renzi amico, gira come punto estremo di compromesso. E però anche alla Camera entra in campo la “corrente di governo”: ben 14 deputati rispondo a Martina, Delrio e Gentiloni. Potrebbero trasformare la sfida in un testa a testa adrenalinico, ribaltare certezze consolidate. Chiedete a Pierluigi Bersani, a cui sfilarono i gruppi quasi sotto il naso.
Martina con Delrio, Delrio contro Martina: chi può dirlo? Sfida ancora virtuale, ma possibile pure per la segreteria. Deciderà l’assemblea nazionale. Anche per quella poltrona serve un patto tra i big. Renzi, tutto considerato, preferirebbe “l’amico Graziano”.
Ma Martina è lì. Ha appena disfatto le valigie. E parla come chi non intende lasciare in fretta il Nazareno. Con una crisi politica aperta, l’assemblea potrebbe slittare a maggio. E magari poi fino ad elezioni anticipatissime. Essere sempre punto di equilibrio, così si muove un doroteo.