Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 13 Martedì calendario

In morte di Hubert de Givenchy

Uno stile connotato da garbo e raffinatezza. Quello di Hubert de Givenchy. In maniera altrettanto garbata e senza clamori, l’aristocratico creatore francese, tra i leggendari padri dell’alta moda con Balenciaga e Dior, si è ritirato per sempre dalla passerella del mondo. Sabato scorso a 91 anni si è spento nel sonno, ma solo ieri mattina Philippe Venet, il compagno di vita del couturier, ha dato l’annuncio ufficiale, comunicando che i funerali saranno in forma privata. Il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso il cordoglio dell’Eliseo e della Nazione parlando della perdita di un maestro. «Maestro di eleganza, creatività e inventiva. La Francia grazie ad artisti come lui risplende nel mondo. Non c’è dubbio che la persona di Givenchy resterà iscritta nel tempo».
Esattamente 30 anni fa il marchese Hubert de Givenchy, nato a Beauvais il 21 febbraio 1927, cedeva al patron di Lvmh Bernard Arnauld la proprietà della sua griffe, creata nel 1952 (all’epoca aveva 27 anni), con immediato successo internazionale. Nei 43 anni in cui le marquis Hubert è stato il deus ex machina della sua Maison, i codici dello stile femminile sono stati riscritti, tanto da influenzare ancora quello delle donne contemporanee: plasmando l’immagine di un’icona senza tempo come Audrey Hepburn; ma anche facendo risplendere da Jaqueline Kennedy (la vestì per il viaggio presidenziale in Francia nel 1961: la First Lady ricevette persino i complimenti di De Gaulle), a Marella Agnelli e Grace di Monaco.
Givenchy firmerà le collezioni della sua Maison fino al 1995: a Parigi, al termine di un’epocale sfilata applaudito anche da Saint Laurent e Valentino in prima fila, Arnault annunciava il passaggio di testimone a John Galliano; dopo di lui subentrati Alexander McQueen, Julien MacDonald e, dal 2005 per 12 anni, l’italiano Riccardo Tisci; nel 2017 cambio con l’arrivo della britannica Clare Waight Keller, che commossa ha ricordato Givenchy come «uno degli uomini più seducenti e favolosi mai incontrati». 
Aristocratico, cresciuto in un ambiente raffinato, il nonno materno a capo della manifattura tessile di Beauvais e Gobelin (gli trasmette la passione per i tessuti esclusivi e preziosi), sin da adolescente in Hubert de Givenchy arde il fuoco sacro della moda. Studia all’ École des beaux-arts; si autopromuove da Cristobal Balenciaga: tenta di mostrargli i suoi figurini, ma viene amabilmente «congedato». Sarà però proprio lo schivo sarto iberico a divenire poi il suo Mentore: nel 1956 sfileranno assieme a New York e resteranno legati da amicizia fino alla morte di Balenciaga. Saranno invece gli atelier parigini di Fath, Piguet e Schiaparelli quelli dove il giovane Hubert si forma, fino al debutto nel 1952 con la collezione Les Séparables, salutato con lo stesso entusiasmo con cui si celebrò nel 1947 il New Look di Dior. 
L’incontro-innamoramento con Audrey Hepburn scrive non solo un nuovo capitolo nella carriera in ascesa di Givenchy, ma un nuovo modo di comunicare il concetto di abito. Givenchy non crea solo abiti di scena, ma dà vita al reciproco scambio di ispirazione capace di fare il successo di uno stilista e di una diva. Nella sua casa parigina, piccola Versailles nel cuore della Ville Lumière, le foto dell’attrice sui mobili d’epoca ne mantenevano vivo il ricordo nell’ampio salone dalle grandi vetrate. Quando parlava del loro primo incontro, Givenchy con le lunghe mani disegnava nell’aria la silhouette dell’attrice. «Era vestita come un gondoliere. Mi aspettavo di incontrare la più famosa Katharine Hepburn e mi trovai una ragazzina con un paio di pantaloni Capri, una maglietta a righe e un cappello di paglia. Assurdo vestirla». Era il 1953, Hepburn già in odore di Oscar con Vacanze Romane. Sedusse Givenchy e lui creò gli abiti per, tra i tanti film, Sabrina, Sciarada e Funny Face. E gli «abitini» neri per Holly Golightly di Colazione da Tiffany rendendo quell’essenziale modello ideato da Chanel icona di stile senza tempo. Dono concesso solo ai Maestri di creatività.