Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2018
Sud e stranieri a rischio povertà ma il calo dei redditi ora è fermo
Nel 2016, secondo anno di ripresa economica dopo la doppia crisi e con un Pil in crescita dello 0,9%, il reddito medio delle famiglie ha smesso di calare (+3,5% il rimbalzo rispetto al 2014, anno con un Pil a +0,1% ). Grazie alla maggiore disponibilità di redditi da lavoro la tendenza si sarebbe confermata anche nel 2017 ma la strada da percorrere per tornare ai livelli pre-crisi è ancora lunga, visto che siamo 11 punti percentuali sotto i livelli del 2006. E purtroppo è una strada molto dissestata. Nel decennio infatti è aumentata la disuguaglianza (l’indice di Gini è arrivato al 33,5%, un livello simile a quelli della seconda metà degli anni Novanta) e la quota di persone a rischio povertà è arrivato al 23% (il livello più alto dal 1989; era il 19,6% nel 2006).
Sono queste le evidenze più significative che giungono dall’Indagine sui bilanci delle famiglie pubblicata ieri dalla Banca d’Italia. Si tratta di una delle survey più longeve tra quelle realizzate a palazzo Koch, viene presentata ogni due anni da oltre cinquant’anni, mentre l’indagine armonizzata sui redditi delle famiglie dell’eurozona è pubbblicata dalla Bce dal 2010.
La crescita degli individui a rischio povertà conferma e aggiorna i dati Istat fermi al 2015. Si tratta di soggetti con un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano (830 euro nel 2016), una condizione più elevata tra i nuclei con un capofamiglia più giovane, meno istruito, nato all’estero e per le famiglie del Mezzogiorno. Nelle regioni del Sud, in particolare, è a rischio povertà il 39% degli individui (il dato più elevato, invariato nel decennio). Mentre tra gli stranieri residenti il rischio è passato dal 33,9% al 55%.
Passando dal reddito equivalente alle altre risorse finanziarie liquide che le famiglie hanno accumulato e a cui possono far ricorso per fronteggiare eventi attesi o meno che possono ridurre le loro entrate, l’indagine di Bankitalia estende le misurazioni del disagio economico definendo “finanziariamente povere” quelle famiglie che, anche vendendo tutte le attività finanziarie immediatamente disponibili, non hanno risorse per evitare il rischio povertà entro tre mesi. Nel 2016 si trovavano in questa condizione il 44% della popolazione, una quota in calo dal 2012 ma ancora superiore ai livelli del 2006. Con la crisi l’incidenza della povertà finanziaria è cresciuta di più del rischio di povertà di reddito: tra il 2006 e il 2016 la quota di persone che ricadono in entrame le condizioni di rischio è cresciuta dal 15 a quasi il 20%.
Tra il 2014 e 2016, infine, la ricchezza netta è diminuita quasi interamente per il calo dei prezzi delle case e la flessione è stata più forte per i patrimoni elevati.