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 2018  marzo 10 Sabato calendario

Il «soju», due cene e molte incognite. La Nord Corea è pronta a rinunciare alle armi?

PECHINO Due cene, una sabato scorso a Washington e l’altra a Pyongyang lunedì, hanno preceduto, preparato e annunciato la svolta che potrebbe disinnescare il rischio di conflitto nucleare nella penisola coreana. Durante un banchetto durato quattro ore Kim Jong-un ha comunicato alla delegazione sudcoreana la volontà di parlare con gli americani e di rinunciare alle armi nucleari (la seconda disponibilità è il cuore del problema e va verificata). L’evento è stato propagandato da Nord e Sud, ma ora si scoprono nuovi dettagli degni di nota. 
Funzionari governativi di Seul hanno raccontato che Kim era di ottimo umore e aveva fatto preparare tutto meticolosamente, anche grazie alle informazioni ricevute dalla sorella Kim Yo-jong che era stata al Sud a febbraio per il dialogo olimpico. Dalla signora, il Maresciallo si era fatto spiegare di quali piatti nordcoreani le avessero parlato gli ospiti sudisti. E al banchetto sono stati proposti: hotpot (una pentola di brodo messa a centro tavola dove si immergono verdure e carne) e spaghetti freddi. «Continuavano a girare bottiglie di vino, liquore di jinseng e soju», ricordano i sudcoreani. 
Tra un brindisi e l’altro Kim ha scherzato e fatto le sue offerte negoziali. Ha mostrato autoironia, dicendosi «assolutamente al corrente» della cattiva immagine che ha proiettato all’estero, degli insulti ricevuti da Trump («piccolo uomo razzo», «pazzo», ai quali rispose dando al presidente americano del «dotard», vale a dire «vecchio lunatico e rimbambito»). Le immagini della serata di lunedì a Pyongyang mostrano Kim e i sudcoreani che ridevano di gusto. C’è stata anche una battuta sul presidente sudcoreano Moon Jae-in: «Ha passato tempi duri presiedendo riunioni del consiglio di sicurezza all’alba, ogni volta che lanciavamo uno dei nostri missili», ha giocato Kim promettendo che, con il dialogo, non succederà più.
Gli inviati sudcoreani si sono fidati troppo di promesse pronunciate tra i brindisi alcolici? Donald Trump è astemio. Ma ama fare battute. E quando sabato scorso durante una cena di gala con i giornalisti al Gridiron Club di Washington ha detto che «i nordcoreani hanno telefonato e vedremo, io sono sempre pronto a incontrare Kim», la stampa americana non lo aveva preso troppo sul serio. D’altra parte Trump aveva aggiunto: «Il rischio di trattare con un pazzo? Il problema è suo, non mio». 
Che cosa può succedere se a maggio i due nemici si incontreranno? Trump esige giustamente la denuclearizzazione della Nord Corea, che a parole, alla cena di Seul è stata messa sul tavolo. Perché? Il Maresciallo è disperato per l’impatto devastante delle sanzioni e la paura di attacco preventivo o si sente forte come non mai ora che ha provato al mondo di avere armi nucleari e missili per lanciarle? La Dinastia Kim ha fatto della propria sopravvivenza e del potere assoluto gli unici due obiettivi politici. Kim vorrà sicuramente garanzie e concessioni nel negoziato, ma le armi di distruzione di massa sono la sua assicurazione sulla vita. A Pyongyang non possono aver dimenticato la fine di Gheddafi, che pure era stato riabilitato, aveva ricevuto leader mondiali, aveva piantato la sua tenda beduina a Roma e a Parigi, prima di essere bombardato e ammazzato. Nella migliore delle ipotesi, dal vertice Kim-Trump uscirà il via libera per proseguire i colloqui. Ma se anche la Nord Corea prometterà di rinunciare alla corsa nucleare, serviranno ispezioni sul campo: significherebbe aprire il Paese a controllori stranieri. Tutto molto complicato.
Sarà importante intanto l’incontro di aprile tra Moon e Kim sul 38° Parallelo. E al tavolo del ping pong ad alto rischio presto bisognerà trovare posto per Xi Jinping. Nel 1972 Richard Nixon e Mao Zedong vararono il disgelo mettendo nell’angolo l’Urss che poi perse la Guerra fredda. A quel trionfo di realpolitik lavorarono in segreto per mesi Henry Kissinger e Zhou Enlai. Ora la Cina dice ad americani e coreani di proseguire su questa buona strada, ma è chiaro che l’imperatore Xi dovrà essere consultato sul futuro della penisola confinante. Trump non potrà limitarsi a un grazie per l’appoggio.