Corriere della Sera, 9 marzo 2018
Bancomat a cinquestelle
In diverse città del Sud fioriscono le richieste di moduli per il reddito di cittadinanza. A chi cerca di passare all’incasso, cortesi funzionari spiegano la differenza tra una promessa elettorale e una legge dello Stato. Ma non sempre risultano convincenti, se è vero che davanti a un patronato di Palermo è stato esposto il seguente cartello, anche in arabo: «In questo Caf non si fanno pratiche per il reddito di cittadinanza». Messaggio quanto mai ambiguo, perché mantiene viva l’illusione che si facciano da qualche altra parte.
Può darsi che abbiano ragione i richiedenti. E che sia già passata una riforma istituzionale a soluzione istantanea, per cui il partito che arriva primo alle elezioni forma il governo la notte stessa del voto, senza disturbare il presidente della Repubblica. E, ottenuta la fiducia dal Parlamento con un WhatsApp, realizza immediatamente il proprio programma, evitandosi il fastidio di contrattarlo con le altre forze politiche che servivano per raggiungere la maggioranza quando ancora esisteva quella noia di democrazia.
Può darsi. Come può darsi che il voto di scambio non sia affatto finito, con buona pace di chi è abituato a valutare la qualità dei consensi dal partito che li riceve. Ma poiché l’eventuale reddito di cittadinanza verrebbe finanziato anche con le mie tasse, gradirei che i nuovi tribuni del popolo vi allegassero un bignamino della Costituzione o almeno una qualunque edizione del telegiornale.