la Repubblica, 10 marzo 2018
L’amaca
Se fossimo al bar con la stecca in mano (anche se per formazione culturale preferisco le boccette), ecco come vorrei che andasse.
Primo passo: Mattarella dà il mandato a Salvini, leader della coalizione più votata.
Salvini non trova i voti: il Pd non ci sta per le stesse ovvie ragioni per le quali qualunque democratico europeo non potrebbe starci. Berlusconi?
Si impicchi: ha consegnato il centrodestra ai lepenisti.
Allora Mattarella dà il mandato a Di Maio, che è il leader del partito più votato. Di Maio sottopone il suo programma ai partiti, la destra lo trova orribile, la sinistra orribile solo per metà. Nel Pd cominciano a litigare come nei saloon e a spaccarsi le sedie in testa, una metà è per l’arrocco orgoglioso, l’altra metà per andare a vedere le carte del nemico. A questo punto Dio, che a sorpresa non solo esiste, ma è anche una brava persona, commissaria il Pd e assume il ruolo di Segretario Vicario (in attesa di nuove primarie); decide per l’appoggio esterno a un monocolore grillino, con zero ministri e zero sottosegretari per il Pd, che ha perso le elezioni e sta in castigo. Però a tre condizioni: dichiarazione di lealtà del nuovo governo all’euro e all’Europa; fuori dalle balle i novax e altri mattocchi apparentati; rottamazione dell’assetto proprietario del Movimento, trasformandolo da setta privata a normale partito sottoposto alle leggi della Repubblica. A questo punto ho deposto la stecca e gli amici del bar mi hanno guardato come se fossi scemo.