la Repubblica, 9 marzo 2018
L’amaca
La pancia esiste, e ce l’abbiamo anche noi. Se la maggioranza del centrosinistra (e, a giudicare dalle lettere, dei lettori di Repubblica) è ostile a trattare con Di Maio, è soprattutto per una ragione d’orgoglio. Fatale fu l’orrendo streaming del 2013 nel quale l’allora capo del Pd fu appeso alla Rete come un tordo infilzato: umiliazione che l’improvvisato direttorio grillino credette di infliggere a una persona, non capendo di averla inflitta a milioni di italiani di sinistra. Fatale fu la lunga catena di insulti che ne seguì, ampiamente ricambiati nello stillicidio infetto della polemica social, da una parte i “pidioti”, dall’altra i “grullini”, come nei cortili dove da ragazzini ci si sfida a parolacce e botte, con l’aggravante che era una rissa tra adulti, con fior di deputati e senatori a digitare «chi lo dice lo è cento volte più di me».
Ora che Mattarella (che con la sua chioma bianca ci è padre per Costituzione e anche per il disperato bisogno di qualcuno che da padre si comporti) richiama tutti “all’interesse del Paese”, bisognerebbe lasciare spazio anche al cervello. Che l’elettorato dei cinquestelle sia più contiguo alla sinistra che alla destra è un fatto macroscopico. Il centrodestra ha mantenuto quasi intatti i propri voti, il centrosinistra ne ha perduti più di un terzo, ecco da dove arriva il fiume che ha ingrossato quel movimento ben oltre le sue origini “di protesta”. Inevitabile, dunque, che di quella contiguità si discuta.