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 2018  marzo 12 Lunedì calendario

Agnès Varda: «90 anni ai margini ma con gioia»

PARIGI Altro che Oscar. «Il premio più bello è essere ancora in vita», ride Agnès Varda, novant’anni a maggio e scuote il caschetto di capelli bicolore, grigio in cinema e sotto viola. La cineasta belga ha ricevuto il premio onorario dell’Academy, prima regista nella storia, e ed è stata candidata (senza vincere) per il documentario Visages, Villages, (firmato con lo street artist JR), che la Cineteca di Bologna porta nelle nostre sale il 15 marzo.
Da giovane era già ribattezzata la nonna delle Nouvelle Vague, di cui è stata considerata precorritrice.
Oggi è una bisnonna con l’allegria da ragazzina, travolgenti i duetti sullo schermo con il 34enne JR.
L’incontro con Varda, sprofondata sul divano di un lussuoso hotel parigino, si trasforma in un suo lungo monologo. «Mi sono innamorata del camion-macchina fotografica di JR prima ancora di lui», dice del mezzo di trasporto che ha guidato la strana coppia in giro per la Francia, a conoscere volti e villaggi. «Con JR siamo andati a conoscere le persone reali. Sono sempre stata attratta da chi non viene ascoltato perchè povero, ai margini, ribelle.
Abbiamo catturato pezzi di vita, fotografando, filmando, facendo ritratti. Abbiamo portato la nostra immaginazione nel mondo del lavoro. Una sorta di trattato sociologico fatto con gioia e senza rigidità».
Hanno girato una settimana al mese per 18 mesi: «Sono forte ma non così tanto da girare più a lungo. Mia figlia Rosalie, che lavorava come costumista, si è unita alla nostra compagnia e ha prodotto il film. Ha trovato i soldi e mi ha detto di prendermi tutto il tempo necessario». I film di Agnès Varda trovano forma al montaggio, «volevamo prendere il pubbico per mano e guidarlo con noi nelle storie». In una scena bellissima del doc ci sono gigantografie di minatori, tratte da una collezione di vecchie cartoline della regista, che tappezzano una fila di case di lavoratori, in via di demolizione, nel Nord della Francia. E poi c’è una foto del 1960 con Guy Bourdin allora giovanissimo, in un bunker su una spiaggia della Normandia, «il figlio di Guy è rimasto molto colpito». L’essere l’unica regista associata alla Nouvelle Vague ha consegnato ad Agnès Varda un posto nella storia del cinema francese. Dopo gli studi di storia dell’arte alla Sorbona nel 1946, nel ‘54 il suo primo film La pointe courte nel ‘54 (montato da Alain Resnais) è considerato il primo esempio di Nouvelle Vague: «Non ho mai pensato di rivoluzionare le regole, stavo cercando di inventare le mie». Padre greco e madre francese, è nata a Bruxelles il 30 maggio del ‘28. Il suo compagno è stato il regista Jacques Demy, scomparso nel ‘93.
Ha iniziato come fotografa e ancora oggi vive con i suoi amati gatti nella casa a Rue Daguerre, vicino a Montparnasse, dove con Demy aveva fondato la compagnia di produzione Ciné-Tamaris, in quegli stessi spazi che erano stati il suo studio fotografico: «Vengo da una generazione a cui è stato insegnato a non gettar via mai nulla. Mi piace l’idea di riparare gli oggetti invece che buttarli. Non c’entra il risparmio, ha più a che fare con il senso di custodia. I nipoti ridono di me, quando mi vedono rammendare un paio di calzini».
Se le si chiede di evocare il suo film più memorabile cita Cléo dalle 5 alle 7, racconto, filmato in tempo reale, di una donna che attende di ritirare analisi mediche decisive invece del famoso Senza tetto né legge, che le valse il Leone d’oro.
«È che ovunque io vado nel mondo incontro cinefili che amano Cléo: perfino in Corea del Sud». Il più divertente da realizzare è stato invece 100 nights, sui cento anni del cinema: «Ho lavorato con i più grandi, Deneuve, Delon, Belmondo, Mareau, Mastroianni, Piccoli. È stata un’esperienza incredibile, ma nessuno è andato a vederlo: un flop tale che il film non è neanche uscito fuori dalla Francia».
Dell’Oscar onorario ricevuto qualche mese fa dall’Academy la regista si è detta sorpresa: «Tutti, autori e divi, sono venuti per festeggiarmi, Tom Hanks, Richard Gere, Steven Spielberg, Jennifer Lawrence. Man mano che li incontravo immaginavo la cifra che ciascuno di loro vale in milioni di dollari. Io non ho mai fatto soldi con i miei film, non sono mai stata considerata “bankable”, come dicono loro. Anche se ho vinto premi e riconoscimenti che certo sono gratificanti, sono sempre stata ai margini. Oggi l’importante per me è continuare ad andare avanti, lavorare finchè posso, con allegria».