Corriere della Sera, 12 marzo 2018
Il Papa e la paura degli stranieri. «Contagia anche i cristiani»
ROMA Sono passati cinque anni da quando il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, entrò in conclave per uscirne Papa l’indomani, il 13 marzo 2013. E mentre Francesco si rivolge alla comunità di Sant’Egidio, che festeggia cinquant’anni, le sue parole sul senso dell’«anniversario cristiano» suonano assai significative: «Non è l’ora dei bilanci» ma di guardare al futuro, il tempo di «una nuova audacia per il Vangelo» in un mondo che «oggi è spesso abitato della paura», l’audacia «di creare una società in cui nessuno sia più straniero», di «valicare i confini e i muri per riunire».
Il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, ha appena detto che «siamo in un’età della rabbia». E la rabbia è «sorella della paura», nota il Papa. Il problema è non farsi «consigliare dalla paura», come il servo che nella parabola evangelica sotterra il talento: «Il nostro tempo conosce grandi paure di fronte alle vaste dimensioni della globalizzazione. E le paure si concentrano spesso su chi è straniero, diverso da noi, povero, come se fosse un nemico». Del resto «si fanno anche dei piani di sviluppo delle nazioni sotto la guida della lotta contro questa gente», aggiunge a braccio. «E allora ci si difende da queste persone, credendo di preservare quello che abbiamo o quello che siamo».
Francesco sa che «l’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani» ed è «una malattia antica». Non ha paura la gente che lo accoglie nel pomeriggio sotto la pioggia, a Trastevere. Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio, ricorda che la comunità cominciò da qui ad aiutare i bambini che vivevano lungo il Tevere, «nelle baracche dietro i cartelloni pubblicitari messi durante le Olimpiadi per nasconderle».
Nel complesso della basilica hanno trovato posto anzitutto anziani, disabili, malati, clochard, profughi arrivati grazie ai corridoi umanitari. Il parroco, monsignor Marco Gnavi, commenta la parabola del buon Samaritano. Jafar, 15 anni, palestinese di Damasco, ora studia a Roma e racconta a Francesco, in perfetto italiano, l’odissea della sua famiglia tra mortai e campi profughi: «La ringrazio per le sue parole in difesa degli immigrati». Canti, preghiere, commozione, le mani di Bergoglio stringono e abbracciano. «Grazie della vostra generosità. Qui dentro c’è cuore aperto: per tutti, tutti! Senza distinguere». Il mondo, dice, «è diventato globale» ma «per tanta gente, specie i poveri, si sono alzati nuovi muri». Oggi «le diversità sono occasione di ostilità e di conflitto», bisogna ancora costruire «una globalizzazione della solidarietà e dello spirito».
Ma«il futuro del mondo globale è vivere insieme», sillaba il Papa. «Costruire ponti, tenere aperto il dialogo». Le ultime parole sono sommerse dagli applausi: «Continuate ad aprire corridoi umanitari per i profughi della guerra e della fame. I poveri sono il vostro tesoro».