La Stampa, 12 marzo 2018
Nella Cecenia piegata da Putin che cancella i diritti umani
Il luogotenente di Putin in Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha deciso di sbarazzarsi dei difensori dei diritti umani. Li considera un intralcio al proprio potere incontrastato, e in questo turbolento angolo del Caucaso la sua parola è legge. Memorial, la principale organizzazione russa per la tutela dei più deboli, è stata costretta a chiudere i battenti, e il suo capo locale, Oyub Titiyev, è finito in galera. «Gli hanno trovato della marijuana in macchina. Con ogni probabilità ce l’hanno messa gli stessi agenti che l’hanno fermato» spiega Oleg Orlov, il responsabile del programma «Punti caldi» dell’Ong, sottolineando che la polizia cecena dipende direttamente da Kadyrov ed è accusata di rapimenti, torture e persino esecuzioni sommarie.
Dopo l’arresto sono partite le azioni intimidatorie. A Nazran, 80 chilometri dalla capitale cecena Grozny, c’è la sede di Memorial che è stata data alle fiamme. «L’incendio è stato sicuramente doloso, abbiamo trovato una bottiglia di benzina e le telecamere di sicurezza mostrano chiaramente che i colpevoli sono due uomini che hanno agito a volto coperto», racconta il direttore di Memorial in Inguscezia, Timur Akiev, indicando il soffitto completamente annerito. Il fuoco ha divorato ogni cosa: documenti, computer, mobili. Adesso si lavora per ricostruire. Secondo Timur, il rogo è senza dubbio collegato al caso Titiyev. «Il 15 gennaio – ricorda – avvocati e vertici di Memorial sono venuti qui per cercare di aiutare Oyub. Un giorno e mezzo dopo, nella notte tra il 16 e il 17, quei due sconosciuti hanno incendiato tutto. Sono arrivati su una Lada Priora senza targa: hanno tirato fuori una scala, sono saliti al primo piano, hanno rotto il vetro della finestra e hanno iniziato lo scempio». Ma le minacce non sono finite. Passano pochi giorni e in Daghestan viene incendiata anche la macchina di uno degli avvocati che seguono la vicenda. Poi gli attivisti di Memorial ricevono un sms minatorio: «State camminando sull’orlo del baratro. La prossima volta vi bruceremo con il vostro ufficio».
Oyub Titiyev, il capo di Memorial in Cecenia, è stato arrestato la mattina del 9 gennaio. «Stava andando al lavoro quando l’hanno fermato tre agenti, e uno di loro evidentemente gli ha messo sull’auto un pacchetto con oltre 200 grammi di marijuana», dice Oleg Orlov. Ora Titiyev è accusato di traffico di stupefacenti. «Lo hanno portato in una stazione di polizia, e lì – spiega sempre Orlov – gli hanno intimato di confessare che trasportava droga sulla sua auto e di metterlo nero su bianco. Gli hanno detto che, se non avesse fatto come gli ordinavano, avrebbero sbattuto al fresco suo figlio accusandolo di essere un terrorista». Titiyev però non cede e contesta l’arresto e il sequestro della marijuana: sono avvenuti senza testimoni, quindi violando la legge. «In Russia – rimarca Orlov – è molto facile falsificare le inchieste penali, ma in Cecenia basta uno schiocco di dita. E così gli agenti hanno rimesso Oyub al volante della sua auto, ma con uno di loro seduto accanto. Lui ha messo in moto e in men che non si dica è stato fermato di nuovo da un’altra pattuglia. E di nuovo gli hanno trovato la marijuana in macchina. Questa volta però con dei testimoni già belli e pronti».
Il ricatto
La polizia per sei ore ha negato ai legali di Memorial di aver arrestato Titiyev. E in quel lasso di tempo degli agenti sono andati a casa dell’attivista a cercare i suoi familiari per ricattarlo. Ma quelli avevano già fatto in tempo a fuggire dalla Cecenia.
La ciliegina sulla torta arriva il 19 gennaio, quando la sede di Memorial a Grozny viene perquisita e gli agenti trovano sulla terrazza due spinelli intatti e una lattina tagliata a mo’ di posacenere. «A quanto pare siamo una banda di spacciatori, e siamo così furbi che teniamo la droga in ufficio dopo che uno dei nostri è stato arrestato per narcotraffico», dice tra rabbia e sarcasmo Orlov, pronto a giurare che dietro questo ritrovamento ci sia ancora una volta lo zampino della polizia cecena. Un gioco da ragazzi per loro mettere la marijuana su una terrazza a cui si può accedere da tre appartamenti.
Lo Stato vassallo
La Cecenia fa formalmente parte della Federazione Russa. Ma de facto è uno Stato vassallo di Mosca dove l’uomo di Putin, Ramzan Kadyrov, regna come un sovrano assoluto. Un suo ritratto giganteggia al confine tra Inguscezia e Cecenia, dove la polizia di Grozny controlla coi kalashnikov la strada che da Nazran porta nella capitale cecena. Grozny oggi ricorda solo lontanamente quella che le due guerre tra gli Anni 90 e i primi Anni Duemila avevano reso «la città più devastata della Terra». Il denaro del Cremlino ha lanciato la ricostruzione, ma è stato anche uno strumento di corruzione e pare che parte dei fondi sia finita direttamente nelle tasche di Kadyrov. In centro i grattacieli del complesso residenziale Grozny City hanno sostituito gli edifici sventrati dalle bombe. Per strada una vecchietta col capo coperto dal velo – come tutte le donne qua – vende magneti ai pochi turisti: molti raffigurano Ramzan Kadyrov in mimetica. Qualche centinaio di metri più in là, attraversando un ponte sul fiume Sunzha, ci si trova davanti al Cuore della Cecenia: la moschea più grande d’Europa con i suoi quattro minareti alti 62 metri. Il tempio si ispira alla Moschea Blu di Istanbul ed è dedicato al padre di Ramzan Kadyrov, Akhmad, un ex separatista poi passato dalla parte dei russi e diventato leader della Cecenia. Fu ucciso nel 2004 in un attentato. Adesso il suo volto fa capolino a ogni angolo, come quelli del figlio Ramzan e di Vladimir Putin. Il centro di Grozny è tappezzato dei loro ritratti, e il culto della personalità riservato a questo trio stupisce subito un osservatore occidentale.
Le strade dei leader
Ad Akhmad Kadyrov è intitolata una delle due vie principali della città. L’altra porta invece il nome di Putin. Ma all’ex presidente ceceno è dedicato persino un museo. Si sviluppa su due piani e tra colonne di marmo e stucchi dorati presenta Kadyrov senior come padre della patria, devoto musulmano e uomo di pace. Praticamente cancellati invece gli anni da separatista. Mentre ampio spazio è destinato al rapporto col figlio Ramzan per legittimarne il potere da signore feudale. Il leader ceceno difende poligamia e delitti d’onore, ignorando nel suo Califfato le leggi di uno Stato laico come la Russia. E soprattutto conta su migliaia di pretoriani pronti ad arrestare, torturare e uccidere. Come avvenuto nella caccia alle streghe contro gli omosessuali lo scorso anno. Se Kadyrov non esita a minacciare di morte i suoi avversari, i suoi scagnozzi – i kadyrovtsy – ammazzano anche fuori dalla Cecenia. Molti dei condannati per l’omicidio dell’oppositore Boris Nemtsov – freddato a colpi di pistola a due passi dal Cremlino – erano militari della guardia di Kadyrov. E anche per l’assassinio della giornalista Anna Politkovskaya tutti gli elementi portano in Cecenia.