Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 10 Sabato calendario

La suora del Duce e la truffa dell’acqua santa

Il professore (di italiano, alle scuole superiori) Massimo Rocchi Bilancini ha scritto un libro sorprendente e prezioso. Il titolo è Costi quello che costi (Futura Edizioni) ed è la storia della “monaca santa”, al secolo Maria Josefa Alhama Valera, meglio conosciuta come Madre Speranza. Spagnola, amica di Franco – a Mussolini, racconta nei suoi Diari, apparì in bilocazione chiedendogli di dar una mano al generale nella guerra civile spagnola –, fondatrice dell’ordine dell’Amore Misericordioso, si trasferisce in Italia negli anni 30, a Roma, poi a Collevalenza, piccolissima frazione di Todi, destinata nei progetti della Madre a diventare una sorta di Lourdes italiana e dove oggi sorgono il Santuario e altre opere, tra le quali appunto le piscine per i malati.
La sua fama, infatti, è legata all’acqua che da queste parti, da sempre, viene considerata “miracolosa”. Vero o falso? Nessuno lo sa. Nell’incertezza, la gente ha creduto alle parole della suora: “A quest’acqua il Signore darà il potere di curare cancro, leucemia e paralisi”. È il dono della profezia, dicono i sapienti. Ma sicura fonte, è il caso di dire, di un costante e notevole afflusso da tutto il mondo, ancora oggi, di devoti e bisognosi di una grazia. Meglio fisica che spirituale.
Madre Speranza è Beata dal 2014. E nel processo di beatificazione, l’unico miracolo riconosciuto (a maggioranza, nemmeno all’unanimità, e dopo una prima bocciatura) è la guarigione… da un’intolleranza alimentare, di un bambino di Vigevano, nel 1999. Già, l’acqua. Secondo Rocchi Bilancini, di miracoloso avrebbe poco o nulla.
La versione ufficiale ha molto di Lourdes. Lì la Vergine, nel 1858, appare a Bernadette e le indica un punto preciso. La ragazzina scava con le mani e sgorga una sorgente da 120mila litri di acqua al giorno, con milioni di pellegrini all’anno che vanno a visitare la grotta. Anche Madre Speranza disse di aver ricevuto l’“ispirazione” soprannaturale (Dio, nel suo caso), che le avrebbe suggerito il punto esatto dove scavare. Solo che, a differenza di Bernadette, non usò le semplici mani per smuovere il terreno. Preferì avvalersi di rabdomanti e trivelli, fino a 180 metri di profondità. E non scavò in mezzo al deserto, da far gridare al miracolo, ma a pochi metri dalla falda superficiale che serviva da sempre la frazione.
Santa o santona? Nessuno può dirlo. Il libro mette in fila dei fatti e ci ragiona su. Dal Diario, risulta perfino come un’annunciatrice di morte. Scrive Bilancini: “Le sue consorelle le chiamava – e si chiamano tuttora – esclavas, schiave. Nel convento sulla Casilina, a Roma, anni ’40, Madre Speranza aprì un laboratorio tessile che produceva camicie per l’esercito italiano. Le suore avevano turni massacranti, lei le aggravava con minacce di morte: ‘Gesù mi ha detto che tre di noi mancheranno nel prossimo anno, siate pronte’”. Chiedeva a Dio di “maledire” le suore che le si ribellavano. E che dire della storia dell’amicizia con Pilar, principale benefattrice della Madre e ben inserita nella Curia, morta in circostanze incredibili, dopo un macabro balletto tra le due donne su chi dovesse morire prima (“smettila bambina capricciosa e muori”, come avvenne). E poi stimmate, scontri con il demonio, moltiplicazione di cibi e di rotoli di denaro. Il libro è stato scomodo da subito. Racconta Bilancini: “Uomini di chiesa o loro emissari hanno chiesto ai fedeli di non venire alla presentazione e hanno fatto pressioni sui titolari di due librerie cittadine, obbligandoli a ritirare dalle vetrine il libro. L’Index Librorum Prohibitorium è stato abolito dal 1966, ma certi metodi gli sopravvivono”.
Alla fine, siamo sempre lì: al miracolo. Inteso come uscita istantanea dal proprio dolore, fisico soprattutto. Tra la remissione dei nostri peccati e la guarigione da una malattia tutti vacilleremmo. Torna alla mente, allora, la parabola “rivisitata” da Ennio Flaiano. Gesù arriva in un villaggio della Galilea, preceduto dalla sua fama di guaritore, e una folla gli si fa intorno chiedendogli la liberazione da ogni malattia. Fino a che gli si presenta un uomo, con in braccio la figlia malata, che gli dice: “Non ti chiedo di guarirla, ti chiedo di amarla”. La risposta di Gesù, in quel racconto apocrifo, è definitiva: “Questo, in verità, è l’unico miracolo che posso fare”.