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 2018  marzo 10 Sabato calendario

Reddito di cittadinanza. Costi e sfide del piano M5S

La notizia dell’assalto ai Centri di assistenza fiscale (Caf) per chiedere i moduli per il reddito di cittadinanza all’indomani delle elezioni era falsa. Come ha ricostruito il sito Valigia Blu, l’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno era infondato: l’assalto dei questuanti a Giovinazzo erano in realtà “4-5 persone”, ha chiarito il sindaco del Comune vicino Bari. Ma a livello nazionale c’è solo un aumento di richieste ai Caf di calcolo dell’Isee, l’indicatore reddituale e patrimoniale che è uno dei parametri previsti dal disegno di legge del Movimento Cinque Stelle che giace al Senato dal 2013, la proposta di introdurre un reddito di cittadinanza (in realtà riguarda chi è sotto la soglia di povertà relativa e non l’intera cittadinanza). L’interesse sul tema è alto, come dimostrano le ricerche su Google e il picco di ascolti dei talk show che ne discutono. Vediamo allora se e quanto è realizzabile.
L’INTERVENTO. Il progetto M5S prevede di integrare il reddito di ogni italiano sotto i 780 euro fino a quella soglia. Chi è senza reddito riceve 780 euro, chi ne prende già 700, per esempio, soltanto 80. In media il trasferimento dovrebbe essere 480 euro a famiglia (dice Istat). Due genitori a zero reddito e con due figli a carico ricevono 1663 euro. Secondo i Cinque Stelle, coprire l’intera platea di beneficiari potenziali (5 milioni di famiglie, 10 milioni di persone) costa 15 miliardi, secondo Inps e LaVoce.info 29: i 15 miliardi derivano da simulazioni Istat che attribuiscono alle famiglie proprietarie di casa un reddito fittizio equivalente all’affitto che potrebbero incassare dall’immobile, così da equiparare proprietari e inquilini. Ma i proprietari di casa senza reddito nello schema del M5S avrebbero comunque diritto al sussidio. Introdurre subito il reddito per tutti è impossibile, si può invece procedere per gradi, allargando la platea di beneficiari progressivamente come sta facendo il governo Gentiloni con il Reddito di inclusione (Rei) che nel 2018 arriverà a coprire 700mila famiglie in povertà assoluta per un costo di 2 miliardi e un sussidio medio di 240 euro.
LE COPERTURE. In campagna elettorale i Cinque Stelle hanno indicato le seguenti fonti di risorse: taglio 5 miliardi di agevolazioni fiscali e 2,5 miliardi di non meglio precisati “tagli agli sprechi”, in totale 7,5 miliardi. Il resto sarebbe finanziato in deficit, con il permesso della Commissione europea grazie a un trucco contabile: i beneficiari del reddito di cittadinanza risulterebbero tutti disoccupati, mentre molti oggi sono classificati come inattivi. Un tasso di disoccupazione più alto, secondo i parametri Ue, consente di fare più deficit. Ma questo approccio non è mai stato validato da Bruxelles e il suo corollario – il deficit poi si riduce progressivamente grazie all’aumento del Pil innescato dal sussidio – è tutto da dimostrare. Nel disegno di legge 2013 erano indicate altre coperture, poi aggiornate, non molto dettagliate (esempio: 2,5 miliardi “centralizzando gli acquisti della pubblica amministrazione”) o quasi impossibili da ottenere dal governo (taglio degli stipendi dei Parlamentari, di competenza delle Camere, risparmio su organi costituzionali). In un approccio graduale, però, le coperture non sono il punto decisivo: si assegna il reddito a una platea compatibile con le risorse disponibili.
ASSISTENZIALISMO? Il reddito di cittadinanza è legato alla ricerca attiva di un lavoro, non è un sussidio di mera assistenza. Il piano si regge sui centri per l’impiego che devono aiutare i disoccupati a trovare lavoro. Oggi hanno un organico di 6.000 persone contro le 80.000 della Germania, Paese di riferimento per le “politiche attive” del lavoro. I Cinque Stelle vogliono investire 2 miliardi di euro per potenziarli, da aggiungere al costo complessivo del reddito. Ma questo ridurrebbe di poco il divario con la Germania: nel 2015 l’Italia investiva in politiche attive 752 milioni l’anno, la Germania 11 miliardi (dati Adapt). Chi beneficia del reddito non può rifiutare più di tre offerte di lavoro, ma se i centri per l’impiego sono poco efficienti (fino a 24 mesi solo per valutare un profilo) o non hanno offerte di lavoro adeguate da sottoporre, il disoccupato riceverà il sussidio per anni prima di ricevere una proposta di impiego. E molti dei potenziali beneficiari oggi sono completamente fuori dal mercato del lavoro: casalinghe, giovani senza qualifiche, disoccupati di lunga data. Vanno riattivati grazie a progetti di “agenzie formative accreditate” pagate dallo Stato ma autonome che dovrebbero rendere i lavoratori adatti alle richieste delle aziende. Un tentativo dai risultati incerti, soprattutto nei territori più depressi dove ci sono poche opportunità. Il flop dell’assegno di ricollocazione – solo 3.000 su 30.000 aventi diritto hanno usufruito del sussidio e del programma personalizzato per riqualificarsi – dimostra che non basta lanciare una misura per assicurarsi che funzioni.
RIFORME. Come si vede con il Reddito di inclusione (Rei), una delle sfide è poi il coordinamento tra le varie amministrazioni coinvolte: erogare un sussidio condizionato significa coordinare l’Inps che gestisce i soldi, le Poste che erogano le carte di pagamento o i contanti, i Comuni che gestiscono assistenti sociali e verificano i requisiti, l’agenzia per le politiche attive (Anpal), l’Inapp che monitora i risultati, i centri per l’impiego, le agenzie di formazione. Uno sforzo titanico che dovrebbe combinarsi alla riforma degli altri sussidi e ammortizzatori sociali per evitare duplicati e ridondanze. Ma Luigi Di Maio, al Mattino, ha dichiarato che “in una prima fase il reddito di cittadinanza procederà su un binario separato, l’obiettivo finale, che sarà raggiunto per gradi, è però il superamento degli attuali ammortizzatori sociali”. E questo aumenta la necessità di risorse finanziarie.