La Stampa, 10 marzo 2018
Silvio Muccino: Da Frankenstein ho imparato l’orgoglio di essere alieno
Nel suo famoso incipit Tolstoj teorizzava che «tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice lo è a modo suo». Per Silvio Muccino, gli occhi trasparenti e i capelli scarmigliati da eterno ragazzo, figlio di una delle tante tormentate famiglie del cinema italiano, «nessuna famiglia è in assoluto felice o infelice. Alcune riescono a trovare armonia al loro interno, altre no, e i loro componenti hanno bisogno di emanciparsi per trovare l’armonia individualmente. Io appartengo alla seconda categoria, il che non vuol dire che non ami la mia famiglia. Le voglio bene, ovviamente, ma siamo andati per strade diverse». La sua strada, dopo gli inizi come attore diretto dal fratello maggiore Gabriele, l’incontro con la sceneggiatrice Carla Vangelista, le liti pubbliche e le riconciliazioni private, lo porta oggi a cambiar vita, lasciare Roma per un casale in Umbria e a firmare da solo Quando eravamo eroi (La nave di Teseo), intenso romanzo di formazione che coglie cinque personaggi prima adolescenti e poi trentenni irrisolti.
Qual è il potere letterario dell’adolescenza?
«È un terreno di sperimentazione, dove è possibile non solo conoscersi, ma anche sognare: il passato è nullo, il presente sconfinato e il futuro tutto da scrivere. Il brutto è la sensazione di brancolare nel buio che si ha quando non ci si conosce ancora. Il vero privilegio di quegli anni è la leggerezza. Si può cadere, rialzarsi e tutto serve a prendere contatto con la nostra unicità».
Cosa significa crescere?
«Imparare a scegliere. Nell’infanzia ci viene chiesto di obbedire. Nell’adolescenza la disobbedienza diventa lo strumento con cui impariamo a conoscerci. Crescere è scegliere tra i sì e i no che ci appartengono davvero. Non detti né per reazione, né per compiacere, ma come reale manifestazione del nostro sentire».
I suoi personaggi si definiscono degli «alieni». Come mai?
«Non solo sono diversi dal branco, ma soprattutto sono determinati a non adattarsi, a non modellarsi sulle esigenze del mondo. La diversità prima di tutto si subisce, come una distanza che non si è capaci di colmare. Poi, crescendo, diventa una scelta: a volte difficile, scomoda, coraggiosa, ma che conviene sempre fare».
Si resta alieni per tutta la vita?
«Il più delle volte ci si adatta per paura di restare esclusi, di diventare dei “lupi omega” e si tende a scendere a compromessi non tanto con gli altri, quanto con se stessi. A modellarsi sul gusto e le aspettative altrui. Oppure, semplicemente, ci si adatta perché non si ha più la forza o il coraggio di restare alieni».
Lei era alieno o adattato?
«Io sono sicuramente stato un adolescente alieno, ma – per colpa o per merito del cinema – ho avuto un immagine molto “adattata”. E questo in un certo senso ha ingigantito la mia alienazione. Gestire la popolarità non è stato facile. Tutti avevano un idea precisa di me, ricavata dai personaggi che interpretavo. Ma io non ero quei personaggi e non avevo idea né di chi fossi, né di chi volessi diventare. L’ho scoperto con il tempo».
Che cos’è il successo per lei?
«Nel cinema, quando si trova un doppiatore con voce e aspetto identico all’attore, si dice “voce-volto”. Ecco, ho sempre pensato che il successo fosse il raggiungimento di quella condizione in cui tutto combacia perfettamente. Quando ciò che sei e ciò che fai si esprimono in perfetta armonia. Quando quello che dici è sincero e tutti ti capiscono. Il fallimento è il suo opposto, non per forza negativo. È il momento della ricerca, in cui la voce non corrisponde ancora al volto, in cui magari non sei ancora perfettamente a fuoco perché stai cambiando e la gente non ti capisce. Ma è necessario per giungere a un nuovo compimento. Per questo le due cose inevitabilmente si alternano. Un artista, se lo è davvero, si trasforma continuamente».
Esiste davvero un’alternativa: o si vive o si racconta la vita?
«Le due cose sono consequenziali, non in contrasto: se non si vive non si ha nulla da raccontare. Se non ti sporchi le mani, non ti scopri, non ti perdi e ti ritrovi, finisci sempre per dire le stesse cose perché rimani identico, imprigionato nel passato. La vita invece, nel bene o nel male ti cambia, e quel cambiamento è un bagaglio prezioso».
Cosa le riesce più facile, scrivere, recitare, dirigere?
«Mi piace esprimermi e provocare emozioni. A volte è bello e divertente insieme ad altri, come nel cinema, altre è necessario farlo da soli e la scrittura permette questo lusso».
Come si alimenta la creatività?
«È una magia straordinaria, la più preziosa e fragile che esista, con lei puoi trasformare il dolore in qualcosa di bello e pulito, dare senso alle cose, puoi curarti e liberarti. Ma se sei avido e non le dai da mangiare, prima o poi si esaurisce. A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi e guardarsi dentro per nutrirla, per farla rinascere. E poi la mia creatività è più libera e coraggiosa di me. Funziona solo quando mi spingo a osare».
Cosa legge? Quale musica ascolta? Quali sono i film che ama?
«Scelgo i libri, come la musica o i film, in base a ciò di cui ho bisogno. Passo dai Radiohead a Bach, e lo stesso faccio con i libri. Prima di Quando eravamo eroi mi sono immerso nella letteratura gotica. Nessuno è più solo, alieno e bisognoso di amore di Frankenstein. Nessuno conosce la molteplicità che ci abita meglio di dottor Jekyll. E Cathy in Cime Tempestose dice: “Io sono Heatcliff più di me stessa” e mi ha ispirato per Eva e Alex».
Alex ama Eva perché vorrebbe essere come lei, Rodolfo ama Eva perché vorrebbe possederla.
Qual è la sua idea di amore?
«È uccidere una parte di noi per fare spazio all’altro: dimezzarsi per diventare interi. L’uomo è forse più egoista nel non voler cedere nulla di sé, arroccato nel bisogno di bastarsi a ogni costo, perché non accetta la sua parte femminile che sa accogliere oltre che prendere. La consideriamo debole, quando in realtà è ciò che ci rende forti».
Pensa mai a dei figli?
«No. Per ora no. Ho 35 anni ma mi sembra di aver appena iniziato a vivere e non so dove mi porterà questa strada. Però per ora mi piace molto».