La Stampa, 10 marzo 2018
Costruzioni e abusi in alta quota. Il cemento avanza anche sulle Alpi
L’idea più comune è che lassù sia rimasto tutto incontaminato. Tra vette innevate, boschi verdi, cervi e scoiattoli felici. In realtà, l’assalto alle montagne è soltanto meno visibile. Ma ugualmente violento. Per di più continuo. E sparso in modo quasi omogeneo su un versante di territorio molto vasto e delicato. Il consumo del suolo, così lo chiamano gli studiosi, non ha risparmiato le Alpi, dove l’uomo è solo costretto a faticare un po’ di più per portare a termine i suoi progetti.
L’assalto
L’altitudine e le difficoltà logistiche, evidentemente, non scoraggiano e anche gli ultimi studi dimostrano che l’aggressione delle vette è continuo e silente. «Tanti progetti, magari piccoli, che passano inosservati ma che hanno un grande impatto – spiega il professor Paolo Pileri, ordinario di pianificazione territoriale ambientale al Politecnico di Milano – Il monitoraggio è molto complicato proprio per questa ragione: progetti edilizi, infrastrutture e abusi finiscono per essere quasi mimetizzati nel territorio». La linea montana che ricade nel territorio italiano, e che definisce il confine con Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, è vasto qualcosa come cinquantamila chilometri quadrati. Ci vivono quasi quattro milioni di persone, più o meno gli stessi abitanti delle quattro aree metropolitane di Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto, ma sparse su un territorio vasto quattro volte tanto.
Il monitoraggio
La cementificazione delle Alpi, dalle Marittime alle Giulie, è stata compiuta quasi per il 50 per cento nell’arco degli ultimi sette anni. Nella montagna italiana, dice l’Ispra, gli ettari urbanizzati sono circa 205 mila. Nella lista nera elaborata dagli studiosi che tengono d’occhio il rispetto delle Alpi ci sono impianti sciistici e strutture di risalita, hotel, parcheggi multipiano a disposizione dei turisti, ma anche hotel, piccole strade che attraversano i boschi e lottizzazioni ai margini dei centri abitati che tentano così di allargare la loro cintura urbana. «I casi sono davvero tanti e sfuggono al controllo del Ministero dell’Ambiente che dovrebbe tutelare il tesoro naturalistico delle Alpi – commenta il professor Pileri – Nei Comuni montani non esistono disposizioni ad hoc che si richiamino alle norme sul consumo del suolo o alla Convenzione delle Alpi».
La convenzione
Gli otto stati che si godono lo spettacolo naturale delle Alpi hanno firmato un accordo nel 1991. Con un obiettivo molto chiaro: mantenere il più a lungo possibile il patrimonio naturalistico montano. Formalità a parte, l’Italia (che vanta il 21 per cento della superficie) è sembrata davvero poco convinta di aderire. Se non altro perché ci ha messo quasi vent’anni per approvare tutti i protocolli che rendono valida la Convenzione delle Alpi. La più veloce, neanche a dirlo, è stata la Svizzera, seguita da Austria, Liechtenstein, Germania, Monaco, Slovenia e Francia. «Il ritardo ha ovviamente ridotto l’efficacia del protocollo – sottolinea Paolo Pileri – Da quando le norme di salvaguardia sono entrate in vigore gli obiettivi che si erano posti sono stati mancati, dal mantenimento delle funzioni ecologiche alla creazione di un sistema di monitoraggio degli interventi. Il risultato è che stiamo divorando la nostra montagna più preziosa». [N. P.]