il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2018
La resa dei conti
Ieri, non avendo nulla da fare, una nutrita pattuglia di web-onanisti di area Pd (o ex Pd, trattandosi di renziani&affini), quindi tutta gente molto lucida e perspicace, ha lanciato l’hashtag #isondaggidelfatto per coprirci di insulti. Ci siamo abituati: da un quarto di secolo, ancor prima che nascesse il Fatto e ancor prima che nascesse il Pd, molte firme di questo giornale spronano il centrosinistra a fare politiche di centrosinistra anziché inseguire, spalleggiare e resuscitare Berlusconi, e si ritrovano in sintonia con larga parte della base del centrosinistra molto più di quanto non lo siano i vertici. Stavolta i poveracci ci insultano perchè abbiamo pubblicato un sondaggio di Antonio Noto, uno dei protagonisti più affermati del settore (scelto con Piepoli e Masia per gli exit poll e le proiezioni di domenica dalla Rai renziana) su un campione di 1000 elettori a proposito delle possibili alleanze post-voto. Anzi, ce l’hanno con noi perchè il 59% degli elettori del Pd auspicano un’alleanza coi 5Stelle: la posizione opposta a quella di Renzi, dagli altri leader o presunti tali del Pd (eccetto Emiliano e, in parte, Chiamparino) e dai loro giornaloni di riferimento, che li consigliano sempre per il meglio.
Il bello è che i webficienti, anziché prendersela con chi ha risposto al sondaggio, se la prendono con noi del Fatto, accusandoci di inventarci i sondaggi. Come se fosse la prima volta che gli elettori del Pd vanno in direzione opposta agli eletti. E come se il nostro giornale avesse qualcosa da guadagnare o da perdere dalla nascita di questo o quel governo. Cari poveracci, rassegnatevi: noi diamo notizie, commenti e analisi, non facciamo alleanze, coalizioni e governi. Raccontiamo la partita, non la giochiamo. Scriviamo quel che pensiamo sia meglio per l’Italia, non per noi (che esistevamo con B., con Monti, con Letta, con Renzi, con Gentiloni e, se Dio vuole, continueremo a esistere a prescindere dai prossimi). Altrimenti ci candideremmo alle elezioni e naturalmente le perderemmo, non essendo del mestiere. Inutile dire che il sondaggio di Noto è verissimo e serissimo. Infatti oggi viene confermato al centesimo da quello realizzato da Youtrend. Un doppio spaccato sull’abisso che separa gli eroici elettori superstiti dai sedicenti eletti, cioè dagli ennesimi (auto)nominati. Del resto, al netto degli insulti che si sono amorevolmente scambiati per anni i dirigenti Pd e M5S, che altro potrebbero auspicare gli elettori dem? Siccome i numeri escludono un governo di centrosinistra e un governissimo con tutti dentro è altamente improbabile, le alternative sono solo tre.
1) Un governo Salvini-Berlusconi-Meloni (o chi per essi) sostenuto in qualche modo dal Pd. 2) Un governo Di Maio (o chi per lui) appoggiato in quale modo dal Pd. 3) Nessun governo, col Pd sull’Aventino e nuove elezioni in estate o-autunno con la stessa orrenda legge elettorale. L’ipotesi 3 asfalterebbe quel che resta del centrosinistra, che per sperare di risollevarsi ha bisogno di almeno tre anni di ricostruzione lontano da urgenze elettorali e di sana astinenza da potere, con una bella dieta dimagrante da cariche, poltrone, prebende, vitalizi, privilegi, tv, tg, giornaloni; e, in caso di ri-elezioni subito, sarebbe il classico vaso di coccio polverizzato da quelli di ferro (M5S e Lega). L’ipotesi 1, la preferita da Renzi&C., sarebbe il degno coronamento delle politiche degli ultimi 7 anni: quelle di centrodestra prima subite da Bersani (nell’èra Monti) e poi sbandierate da Letta, Renzi e Gentiloni. Peccato che siano state appena bocciate dagli elettori, che hanno premiato i due soli partiti contrari ai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Resta l’ipotesi 2, che magari è poco esaltante per gli elettori più trinariciuti dei 5Stelle e del centrosinistra, ma potrebbe essere il male minore per entrambi i fronti e addirittura un bene maggiore per l’Italia. Semprechè il nuovo governo riesca a fare almeno qualcuna delle riforme sociali che il centrosinistra non ha mai fatto in 25 anni. Che poi a farle sia un governo Di Maio o Vattelapesca, anziché un esecutivo di pura razza progressista certificato dai soliti salotti e dalle solite terrazze, questo può interessare i cultori del sesso degli angeli. Agli italiani importa che le cose vengano fatte. Punto. Poi, se verranno fatte, potrebbero giovarsene sia i 5Stelle sia il centrosinistra, che peraltro si scambiano gli elettori dal 2013, essendo i cittadini un po’ più intelligenti di chi crede di rappresentarli.
In fondo, come ricorda Gustavo Zagrebelsky nell’intervista di ieri a Silvia Truzzi, questo redde rationem veniva rinviato da cinque anni: da quando il Pd riesumò le mummie di Napolitano e B. pur di non eleggere con i 5Stelle e Sel Stefano Rodotà, il miglior presidente della Repubblica dai tempi di Einaudi, e di non propiziare l’intesa che avrebbe risparmiato a noi un lustro di inciuci con B., Verdini, Alfano & C. e al Pd gli anni bui del renzismo e le disfatte elettorali del 4 dicembre 2016 e del 4 marzo 2018. Ora gli elettori di centrosinistra sono stati chiari: basta inciuci con B. & C., basta politiche berlusconiane, aria nuova. Anche le regioni del Sud dov’era più forte il voto di scambio, grazie anche al bollino antifrode sulle schede, hanno premiato un movimento di oppositori perlopiù esordienti che non hanno nulla da scambiare perchè non governano, ma promettono politiche sociali, cioè l’esatto opposto degli ultimi quattro governi. Se lunedì, alla Direzione Pd, qualcuno vorrà analizzare quel voto, ne trarrà forse qualche spunto utile per il da farsi. Intanto, agli appelli per un governo con Di Maio, lorsignori rispondono con l’hashtag #senzadime. Se l’avessero lanciato nel 2013 prima di andare al governo con Berlusconi, magari sarebbero ancora vivi.