il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2018
Spotify becca i furbetti: bloccati migliaia di utenti
Caro utente, sappiamo che stai usando una versione craccata – cioè illegale – di Spotify. Abbiamo bloccato il tuo account: non ti denunciamo, però adesso scarica la app corretta”.
Si potrebbe riassumere più o meno così il testo della mail che in questi giorni sta arrivando a migliaia di utenti italiani e a milioni di altri sparsi per il mondo. Il mittente è proprio Spotify, l’azienda svedese che fornisce a portata di clic gran parte della musica mondiale su cellulare e computer, al costo di un abbonamento da dieci euro mensili oppure gratis, se ci si accontenta della versione base del servizio.
Da qualche tempo però era diventato fin troppo semplice procurarsi online un sistema per aggirare i controlli di Spotify e riuscire a utilizzare la modalità premium – cioè quella migliore, senza pubblicità e con molta più possibilità nelle scelta delle canzoni – senza pagare nemmeno un euro. Bastava accedere alla app passando per alcuni siti specializzati e da lì crearsi un account – ovvero un profilo privato collegato al proprio indirizzo di posta elettronica – che Spotify era in grado di leggere soltanto come un nuovo utente della versione gratuita, ma che invece aveva accesso a tutte le potenzialità della premium.
E così ora fioccano le mail: “Abbiamo rilevato un’attività anomala sull’app che stai usando, pertanto l’abbiamo disabilitata”, scrive Spotify agli utenti pizzicati. “Disinstalla qualsiasi versione non autorizzata o modificata e scarica l’app Spotify dal Google Play Store ufficiale”.
La stretta sugli account fasulli mira a convertire in abbonamenti regolari almeno una parte dei furbetti. Non è la prima volta che viene colpito di scarica illegalmente prodotti coperti da copyright, ma in genere ad essere chiusi erano interi siti di streaming e non singoli utenti identificati attraverso gli indirizzi mail.
Secondo il blog Torrentfreak, Spotify avrebbe circa 71 milioni di utenti premium in tutto il mondo, un numero ancora inferiore agli 88 milioni che utilizzano la versione gratuita. È proprio tra questi ultimi che si nascondevano i profili craccati stanati dall’azienda. Considerando che l’abbonamento annuale, al netto di promozioni e sconti, supera i 100 euro, il danno economico causato dagli “scaricatori digitali” al colosso svedese si può quantificare in milioni di euro di mancati introiti. Anche perché le prime versioni craccate del programma risalgono a diversi anni fa, come testimoniano alcuni articoli ancora presenti sul web scritti nel 2015 che già davano indicazioni su come aggirare l’abbonamento.
Spotify preferisce non divulgare quante mail siano state inviate in questi giorni, ma a giudicare dalle reazioni sui social network sembrano essere molti gli italiani coinvolti. Ieri l’hashtag #spotify è stato a lungo tra gli argomenti più discussi su Twitter e proprio i social hanno permesso agli utenti bloccati di darsi man forte, accusando l’azienda di averli puniti ingiustamente. “Dire che sono arrabbiata è un eufemismo, – ha scritto Gabriella sul portale Google Play, lasciando una pessima recensione all’applicazione – l’abbonamento premium costa troppo”. E ancora Walter: “Non è possibile pagare 10 euro al mese per della musica. Parliamoci da amici – scrive – nessuno acquista musica, figurarsi comprare un account premium”. “Ladri – accusa Samuele – la musica è per definizione un arte libera e tutti dovrebbero usufruirne”.
Se ora provassero a fare l’accesso all’applicazione col loro vecchio account craccato, non troverebbero più i loro album preferiti salvati nella pagina principale. Al loro posto, una schermata che chiede di accedere con un altro indirizzo o di fare una nuova registrazione. Libera scelta, purché stavolta sia tutto legale.