Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2018
L’ascesa di Martin Selmayr, House of Cards a Bruxelles
Quando Jean-Claude Juncker prese le redini dell’esecutivo comunitario nel 2014 disse che la sua Commissione sarebbe stata «quella dell’ultima chance» dinanzi a un’Unione in crisi e a un euroscetticismo in crescita. Mai probabilmente avrebbe pensato di contribuire egli stesso alla disaffezione nei confronti dell’Europa. Uno scandalo che da giorni sta tenendo banco a Bruxelles ha messo in luce alcune debolezze dell’assetto istituzionale europeo.
Protagonista della vicenda è una persona che nelle normali burocrazie rimane nell’ombra, ignoto ai più. Martin Selmayr, un giurista tedesco di 47 anni, è stato per tre anni capo di gabinetto del presidente Juncker. In precedenza aveva organizzato la campagna elettorale dell’ex premier lussemburghese ed era stato un portavoce nella Commissione Barroso. A fine febbraio è stato nominato segretario generale dell’esecutivo Ue, alla guida di un’istituzione che conta non meno di 33mila funzionari a Bruxelles e in giro per il mondo.
Sono le modalità della nomina che hanno sollevato perplessità. Selmayr è stato nominato prima vice segretario generale, attraverso una selezione-lampo a cui ha concorso solo la vice capo di gabinetto del presidente Juncker, prima di farsi da parte all’ultimo momento (e diventare il nuovo capo di gabinetto del presidente). Nel giro di poche ore lo stesso Selmayr è stato designato segretario generale ex articolo 7 del regolamento interno che consente al collegio dei commissari di nominare direttamente al vertice dell’amministrazione «nell’interesse del servizio».
«Vedo tre problemi e una conseguenza – commenta Franklin Dehousse, professore di diritto europeo a Liegi ed ex giudice belga del Tribunale europeo a Lussemburgo –. Prima di tutto vi è una mancanza di trasparenza. In secondo luogo, con la nomina di un capo di gabinetto al vertice dell’amministrazione si mette a rischio l’autonomia dei servizi dalla politica. Infine, si ha l’impressione che Selmayr abbia usato la sua posizione a fini personali. Che legittimità potrà mai avere ora? Il risultato è pessimo per l’immagine della Commissione e rischia di nutrire il populismo euroscettico proprio a ridosso delle prossime elezioni europee».
A proporre o a imporre la nomina al posto dell’olandese Alexander Italiener è stato il presidente Juncker. Interpellato dal Sole 24 Ore, il vice presidente della Commissione Jyrki Katainen ha ammesso: «I commissari sono rimasti tutti sorpresi (…) Nessuno conosceva in anticipo la proposta». Ciò detto, non sembra che le norme siano state violate. Da giorni in un punto-stampa quotidiano il portavoce della Commissione Margaritis Schinas difende l’accaduto: «Tutto è stato fatto secondo le regole». Eppure la vicenda, che ricorda la serie televisiva House of Cards, rivela interessanti spunti di analisi. Prima di tutto, nonostante il controllo stretto della Corte europea di Giustizia, dell’Europarlamento e della Corte dei Conti europea, l’amministrazione comunitaria appare spesso auto-referenziale. C’è chi attribuisce la tendenza a un eccesso di potere rispetto a un assetto ancora confederale, e chi a un deterioramento del comportamento dei responsabili pubblici.
Del caso si è impadronito il Parlamento che ne discuterà la settimana prossima. In una lettera al deputato socialista tedesco Udo Bullmann, Juncker ha fatto un resoconto della procedura, difendendola. Nel frattempo, in Ungheria e in Polonia, oggetto di critiche per violazioni dello Stato di diritto, movimenti d’opinione stanno facendo circolare l’idea che i governi potrebbero citare la Commissione dinanzi alla Corte europea di Giustizia per violazione del diritto comunitario. La guardiana dei Trattati si troverebbe all’improvviso catapultata nel box degli accusati, abbandonando il ruolo dell’accusa.
L’altro aspetto riguarda lo stesso Selmayr. Molti diplomatici qui a Bruxelles hanno memoria di situazioni da cui sono emersi la sua straordinaria intelligenza, ma anche un certo suo opportunismo. Molti giornalisti hanno avuto a un certo punto la sensazione di essere stati influenzati, con fughe di notizie che col tempo si sono rivelate quanto meno opportunistiche. D’altro canto, solo un giornalista insipiente o filibustiere penserà di essere nel corso del suo lavoro lo strumento nobile di una specie di Bocca della Verità.
Di recente, un ambasciatore di un piccolo Paese membro raccontava di come un giorno avesse preso contatto con il funzionario per organizzare un appuntamento del suo presidente con Jean-Claude Juncker. In assenza di notizie e incalzato dalla sua capitale, scoprì dallo stesso ex premier che Selmayr non aveva trasferito il messaggio. Il diplomatico giunse alla conclusione che agli occhi del consigliere i leader dei piccoli Paesi potevano accontentarsi di una discussione con il capo di gabinetto.
Probabilmente, la vicenda rivela un terzo elemento: i limiti dello stesso presidente Juncker, malgrado questi abbia avuto l’enorme merito di dare all’Europa uno scossone federalista. «È stanco, poco motivato», nota un diplomatico. Per 18 anni è stato premier di un paese, il Lussemburgo, il cui numero di abitanti è pari a quello di Malaga. Dovette farsi da parte nel 2013 per una vicenda di azioni illegali dei servizi segreti lussemburghesi. Nella nomina di Martin Selmayr ha rivelato il carattere un po’ brusco di un padre padrone piuttosto che lo stile di un grande leader pubblico.
Più in generale, i politici o i banchieri alla guida di istituzioni Ue si dividono in due grandi categorie: quelli che provengono da grandi Paesi, che possono contare sull’appoggio della loro capitale e di un nutrito gruppo di funzionari nell’organismo che sono chiamati a dirigere, e quelli originari di Paesi piccoli che non avendo nessuna di queste caratteristiche devono affidarsi al proprio entourage, spesso senza argini e senza salvagente.
A Bruxelles la vicenda ha provocato sentimenti contrastanti. A livello personale non pochi diplomatici coltivano probabilmente un certo Schadenfreude. Sul piano politico, gli italiani hanno una posizione attendista; i francesi sperano che con la nomina di un tedesco alla guida dell’amministrazione comunitaria Berlino non vorrà puntare alla presidenza della Banca centrale europea nel 2019; i tedeschi si dicono infelici. Ai loro occhi, Martin Selmayr sarebbe molto, troppo europeista.