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 2018  marzo 09 Venerdì calendario

India, la guerra dell’e-commerce

Aniketh Jain, amministratore delegato di Solutions Infini, la società che ha co-fondato a 21 anni a Bangalore nel 2009, non ha dubbi: per lui la sfida tra big per la conquista dell’e-commerce indiano significa una cosa molto semplice: «Raddoppieremo il nostro business», spiega insieme a Dario Calogero, fondatore Ubiquity, il gruppo milanese che nel 2016 ha acquisito Solutions Infini. Dall’operazione è appena nato un nuovo gruppo, Kaleyra, specializzato nella fornitura di servizi di messaggistica mobile per banche e aziende di tutte le dimensioni, con oltre 2 miliardi di notifiche al mese per oltre 6mila clienti in India. Tra i quali spicca Flipkart, il più grande marketpalce del Paese. Già oggi, aggiunge Jain, «l’e-commerce genera il 25% del nostro business».
Kaleyra, come migliaia di aziende portate sul mercato elettronico dallo sviluppo del commercio elettronico, è tra i vincitori della guerra senza esclusione di colpi i tra pesi massimi Amazon, Alibaba e Flipkart, che ora potrebbe avvalersi dei muscoli di Walmart, gettatasi a sua volta nella mischia con la proposta di rivelarne parte del capitale. 
La torta appare ricchissima: l’India ha 1,3 miliardi di abitanti, per metà sotto i 25 anni di età, un Pil in aumento a tassi del 6-7% annuo, una classe media in crescita, riforme fiscali e investimenti in infrastrutture che possono far fare un balzo ai consumi interni. E per l’e-commerce, previsioni da capogiro. Secondo Morgan Stanley, il giro d’affari arriverà a 200 miliardi di dollari nel giro di dieci anni, in linea con le previsioni dell’India Brand Equity Foundation, un centro ricerche finanziato dal Governo, che a sua volta stima quota 200 miliardi entro il 2026 e 64 miliardi entro il 2020. Forrester Research a sua volta immagina un giro d’affari di 63 miliardi di dollari nel 2021, dai 16 miliardi del 2016. Sempre secondo Forrester Research, nel 2017 lo shopping online valeva 19,6 miliardi (il 2% del commercio al dettaglio), in crescita del 26%, ma in forte frenata rispetto al 100% dei due anni precedenti, segno che gli operatori faticano a espandere la loro base di clienti oltre il perimetro delle classi abbienti delle metropoli. E la concorrenza spietata per aggiudicarsi spazi di mercato a scapito dei rivali stritola i margini degli operatori.
Entrata in India nel 2013, Amazon si è impegnata a investire 5,5 miliardi di dollari e ha fissato un’asticella bassissima sul fronte dei prezzi, imponendo pesanti perdite ai competitors locali Flipkart e Snapdeal: nel 2015-16, le perdite dei tre gruppi ammontavano a 1,4 miliardi di dollari. Nel 2016, la creatura di Jeff Bezos ha lanciato in India il servizio Prime, che in un anno ha conquistato quasi 6 milioni di clienti. Secondo la stampa indiana, nel 2017 il colosso avrebbe bruciato 120 milioni di dollari al mese nel Subcontinente (75 sull’e-commerce e 45 sul servizio Prime). 
L’E-COMMERCE IN INDIA 

IL SORPASSO DI AMAZON 
Amazon sta così riducendo il gap con Flipkart. L’anno scorso, Morgan Stanley aveva stimato in 5,4 miliardi di dollari il valore della società indiana, ma ad agosto dello stesso anno il gruppo dell’information technology giapponese Softbank (grande azionista di Alibaba) ha acquisito per 2,5 miliardi di dollari il 20,8% del suo capitale, spingendone la valutazione implicita a 12 miliardi. Nell’anno fiscale 2016-2017, le sue perdite sono salite del 68%, anche se in gran parte dovute a costi finanziari. Fondata nel 2007, Flipkart è scivolata dietro Amazon nelle ricerche tramite telefonino e sta perdendo consensi tra i consumatori, ma si fa ancora forte dei suoi 100 milioni di utenti registrati.
La concorrenza è resa ancora più sanguinosa dall’arrivo di Alibaba, nel 2015, con l’ingresso nella start-up indiana Paytm, la più utilizzata piattaforma di pagamenti digitali (oltre 200 milioni di utenti registrati), di cui ha ormai il controllo. Il gigante cinese, capace di fatturare 25 miliardi di dollari in un solo giorno (il Single Day di novembre), punta a replicare in India il successo ottenuto in casa. 
Nel processo di consolidamento in atto nel settore, ad agosto del 2017 Flipkart ha acquisito la filiale indiana di eBay. La vittima più illustre è invece l’ormai boccheggiante Snapdeal, scesa nel giro di pochi anni da 9mila a 1.200 dipendenti. Da contendente di Flipkart, Snapdeal ha dovuto cedere la seconda piazza nell’e-commerce ad Amazon nel 2015, primo passo di un declino che la sta costringendo a vendere pezzi di business. Tanto che, l’anno scorso, il suo primo finanziatore, la stessa SoftBank che sostiene Flipkart, ha tentato invano di farla comprare in toto dalla rivale. Ma Flipkart ha offerto solo 900 milioni di dollari: a febbraio del 2016 Snapdeal era valutata 6,5 miliardi.
L’attivismo di Amazon ha risvegliato un altro gigante, Walmart, che, messa alle corde sul mercato statunitense dall’espansione del colosso hi-tech, ha deciso di sfidarla in India. Per farlo, vorrebbe usare come testa di ponte proprio Flipkart e così ha proposto di rilevarne il 30-40% del capitale e ha aggiunto sul piatto la possibilità di aprire una catena di negozi al dettaglio nel Subcontinente, offrendo alla società di Bangalore lo sviluppo offline che insegue da sempre. Il matrimonio ha la sua convenienza. Grazie a Flipkart, Walmart potrebbe finalmente aggirare i vincoli che vietano a investitori stranieri di aprire centri commerciali multi-marca e la confinano all’attività di ingrosso. Flipkart, dal canto suo, troverebbe in Walmart l’alleato ideale per contrastare la forza finanziaria di Amazon, che tra qualche mese, grazie a un accordo negoziato con il Governo nel 2017, a 500 milioni di dollari di investimenti e all’impegno a distribuire solo prodotti realizzati e impacchettati in loco, potrà diventare la prima azienda straniera di vendita al dettaglio di generi alimentari in India. 
L’operazione Walmart-Flipkart è però complicata dal fatto che Softbank non vorrebbe vedere il gruppo statunitense salire oltre il 20%. 
In India, Walmart si muove anche in partnership con la cinese Tencent, che a sua volta ha investito 1,4 miliardi in Flipkart insieme a Microsoft ed eBay.

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IL POTENZIALE 
Sul fronte del business to business, in India dal 2003 è attiva la tedesca Metro, che l’anno scorso ha raggiunto un fatturato di 798 milioni di euro, in crescita del 16%. 

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A rendere la scommessa dell’e-commerce in India ancora più difficile c’è lo stato delle infrastrutture viarie e logistiche, che rendono i costi più alti. A questo si aggiunge la ridotta capacità di spesa dei consumatori indiani, il cui reddito pro-capite è meno di un quarto di quelli cinesi (1.709 dollari contro 8.123, dati nominali 2016). Gli indiani sono anche meno attrezzati per lo shopping online: meno di un quarto della popolazione ha uno smartphone (in Cina il rapporto è 1 a 2) e due terzi non hanno una connessione dati. A 16miliardi di dollari, l’e-commerce indiano valeva, nel 2016, il 2% di quello cinese.
L’interesse degli investitori è altissimo: secondo l’India Brand Equity foundation, gli investimenti di private equity e venture capital nell’e-commerce indiano sono stati pari a 11,2 miliardi di dollari, con un balzo del 41% su base annua.