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 2018  marzo 09 Venerdì calendario

Reddito di cittadinanza, luci e ombre

Un «reddito minimo», da 780 euro al mese per un single che può raggiungere 1.950 euro complessivi per nuclei familiari con due figli, esteso a disoccupati o inoccupati in funzione anti-povertà, ma «condizionato» “all’attivazione” del beneficiario (se non si accettano proposte di lavoro “congrue” per almeno tre volte, si perde il sussidio).  
Dopo gli esperimenti del Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) e della social card, sostituiti dal 1° gennaio 2017 dal Rei (Reddito d’inclusione) tutt’ora attivo, l’attenzione generale è rivolta al “reddito di cittadinanza” del M5S, che si propone un obiettivo più o meno simile agli altri strumenti di contrasto alla povertà, ma con criteri e, soprattutto, costi diversi. La proposta muove da un disegno di legge, prima firmataria Nunzia Catalfo, depositato in Senato a fine ottobre del 2013, che oltre a prevedere l’istituzione del “reddito di cittadinanza” contiene, anche, una delega al governo a introdurre un salario minimo orario di 9 euro. È considerato a rischio di povertà, in base ai parametri europei, chi non raggiunge i 6/10 di 15.514 euro – cifra che corrisponde al reddito mediano delle famiglie italiane – ossia 9.360 euro l’anno. Per la persona singola la soglia di povertà è calcolata in 780 euro mensili, la relazione al Ddl fa riferimento a 1.014 euro per un genitore con un figlio minore e 1.638 euro per una coppia con due figli minori (nei 20 punti del programma elettorale del M5S, si indica invece una soglia più elevata, 1.950 euro).  
Quanto al capitolo costi, secondo il M5S, che cita stime Istat, la copertura necessaria si attesterebbe intorno a 16 miliardi l’anno (per Inps e alcuni economisti de lavoce.info si salirebbe a 29/30 miliardi, senza considerare gli oneri di gestione). Lo strumento ipotizzato dai 5 stelle non è un vero e proprio reddito di cittadinanza, che è un beneficio generalizzato, cioè destinato a tutti i cittadini italiani, senza alcuna forma di condizionalità. Più correttamente si tratta di un “reddito minimo condizionato”, definizione coniata dal ministro del Lavoro in pectore “grillino”, Pasquale Tridico (professore di economia del Lavoro all’università Roma Tre). L’idea è quella che, a fronte di un sussidio al reddito, le persone maggiorenni debbano attivarsi e rivolgersi ai centri per l’impiego. Per questo, la proposta dei 5 stelle prevede due miliardi di investimenti per le politiche attive. Mentre il governo Gentiloni per la messa a regime dell’assegno di ricollocazione ha stanziato 200 milioni (346 milioni nel triennio).  
I costi di gran lunga superiori necessari per il cosiddetto “reddito di cittadinanza” fanno capire la differenza di portata della misura proposta dai 5 stelle rispetto agli strumenti anti-povertà finora sperimentati. Per il Sia si investì nel 2012 un’una tantum di 50 milioni (fino al 2017 i nuclei familiari percettori sono stati circa 200mila). Per il Rei si è arrivati, dopo quasi sei anni, ad un finanziamento di oltre 2,3 miliardi (circa 3 miliardi dal 2020, considerando anche le risorse Ue del Pon Inclusione). «Da luglio 2018, grazie ai nuovi fondi della legge di Bilancio e alle modifiche ai requisiti familiari – spiega Marco Leonardi, a capo del team economico di palazzo Chigi – calcoliamo di raggiungere una platea di potenziali beneficiari pari a oltre 700mila famiglie, per un totale di 2,5 milioni di persone». Mentre sotto i 9.360 euro – la platea dei potenziali beneficiari del cosiddetto “reddito di cittadinanza”– troviamo 9 milioni di italiani (3 milioni di famiglie).  
Altra differenza tra il “reddito di cittadinanza” e il Rei sono anche gli importi erogati: il primo parte da un minimo di 780 euro, mentre il Rei oscilla da 187,5 euro per un single fino a 490,75 euro per nuclei con 5 o più componenti (da luglio, per le famiglie numerose, si sale fino a 534 euro). Senza contare che per beneficiare del Rei ci sono limiti stringenti di tempo: dopo 18 mesi massimi, non può essere rinnovato se non sono trascorsi almeno sei mesi.  
Un punto critico della proposta “grillina” è la condizionalità che già oggi nella stragrande maggioranza dei casi non si applica, non solo in Italia, ma in quasi tutti i paesi europei. È molto difficile da far rispettare. Dunque, a meno di rivoluzioni copernicane, se e quando sarà introdotto il “reddito di cittadinanza”, una volta concesso sarà difficile toglierlo (specie al Sud).