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 2018  marzo 09 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA SUL REDDITO DI CITTADINANZA

REPUBBLICA –
Il reddito di cittadinanza, proposto dai Cinque Stelle in campagna elettorale, è un trasferimento dello Stato a chi vive in povertà. Non solo in povertà assoluta, quindi in uno stato di deprivazione massima. Ma anche in povertà relativa, dunque a rischio di finire nel baratro. Nel primo caso parliamo di 4,7 milioni di persone, il 7,9% degli italiani. E per la metà di loro è già attivo da tre mesi uno strumento nuovo, varato dal governo Gentiloni: il Rei, il reddito di inclusione che sembra riscuotere molto interesse, visto che le domande arrivate sono sopra le 100 mila. Si tratta di un assegno che va dai 177 euro al mese per il single a circa 300 euro per la famiglia numerosa (con 5 componenti o sopra). La nuova proposta del M5S allarga di molto la platea a 9 milioni e mezzo di poveri in tutto e anche l’assegno: da 780 euro mensili per il singolo ai 3 mila euro al mese per la famiglia con 7 componenti. Eppure le due misure non sembrano poi così dissimili.«Il Rei di sicuro è un primo modulo del reddito di cittadinanza » , ammette Cristiano Gori, coordinatore di quell’Alleanza contro la povertà — il tavolo di 35 organizzazioni, dai sindacati al terzo settore — che ha proposto e poi ottenuto il Rei oggi esistente. Definito non a caso « una misura storica » , da Gori. E che per questo « non deve essere smontata » . Di qui l’appello dell’Alleanza al governo che verrà ad «evitare di fare la riforma della riforma » . « Tutte le forze politiche sostengono la necessità di misure contro la povertà » , ricorda Gori. « E la logica, reddito di cittadinanza incluso, è proprio quella del Rei: sostegno economico a chi non ce la fa, purché si attivi, trovi un lavoro, porti a scuola i figli. Un motivo in più per non smantellare nulla».
Il nodo è poi tradurre questa logica del sostegno attivo, evitando che si trasformi in puro assistenzialismo. A leggere il disegno di legge numero 1148 depositato in Senato dal M5S il 29 ottobre 2013, esistono obblighi stringenti per chi riceve il reddito di cittadinanza. Si deve iscrivere ai Centri per l’impiego e se rifiuta tre offerte perde l’assegno. Si deve formare e sostenere colloqui, offrire la disponibilità a svolgere 8 ore a settimana di servizio alla comunità locale. E se il Rei ha una durata di 18 mesi, il reddito a 5 Stelle sembra non avere termine, se non la ritrovata serenità e indipendenza economica della famiglia, allorquando cioè scatta un’assunzione e uno stipendio vero. Ma come agevolare la ricerca di un posto? E come controllare poi che chi incassa una busta paga decorosa rinunci poi all’assegno? Si scommette su qualcosa che ancora non c’è: una rete forte ed efficiente tra le burocrazie di enti locali e nazionali. Senza pensare poi che se il Rei oggi costa 2,5 miliardi, il reddito di cittadinanza peserebbe sui conti pubblici per 15,5 miliardi ( cifra però valutata nel 2013). E anzi ancora di più, per l’economista Roberto Perotti: almeno 29 miliardi.Non stupisce dunque l’interesse degli italiani più disagiati per queste misure. Molti cercano però il reddito di cittadinanza che non c’è. E non conoscono il Rei che invece esiste ed è operativo. A livello locale poi siamo alla babele. Solo per fare qualche esempio, in Emilia-Romagna c’è il Res (Reddito di solidarietà), il Red in Puglia ( Reddito di dignità), il Reis in Sardegna ( Reddito di inclusione), il Mia in Friuli Venezia Giulia (Misura attiva di sostegno al reddito). Oltre ai molti sussidi comunali. Difficili districarsi, tra requisiti e moduli diversi. Eppure il bisogno è lo stesso.

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IL POST –

Circolano da stamattina articoli secondo cui sarebbe in corso un “assedio a comuni e Caf” da parte di cittadini desiderosi di ottenere il reddito di cittadinanza promesso dal Movimento 5 Stelle durante la campagna elettorale. A parlare di “assedio” è stata la Gazzetta del Mezzogiorno, la prima a far circolare la notizia, mentre Repubblica ha parlato di “raffica di richieste” – un titolo precedente diceva “presi d’assalto” – e altri hanno parlato di “code”. È una notizia falsa, almeno se descritta in questi termini.

Gli articoli si basano soprattutto su quanto raccontato dal sindaco di Giovinazzo, comune in provincia di Bari, e da un dirigente di un centro per l’impiego della città metropolitana di Bari: e già soltanto il fatto che tutte queste presunte testimonianze su code e assedi ai Caf venissero soltanto da un posto in Italia avrebbe dovuto invitare allo scetticismo (il Fatto ipotizza che c’entri la nota vicinanza al PD di alcuni protagonisti di questa storia). Repubblica ha intervistato una dipendente di un Caf che ha parlato di “poco meno di una cinquantina di persone”, che certo non sono un “assedio” né una “raffica”.

Come scrive il Fatto, “la consulta nazionale dei Caf ha smentito categoricamente ogni tipo di ricostruzione, parlando al contrario di casi isolati, di numeri irrilevanti e di nessuna coda ad hoc ai loro sportelli”; e qualche ora dopo la grande circolazione dell’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, che riferiva di cinquanta persone in due giorni che avrebbero “chiesto i moduli per ottenere il reddito di cittadinanza”, le stesse persone che avevano fornito la prima testimonianza hanno ritrattato. Il sindaco di Giovinazzo, Tommaso Depalma, si è corretto e ha detto che “sono venute 4 o 5 persone lunedì ai servizi sociali”. La consulta nazionale dei Caf, sentita dal Fatto, ha aggiunto:

“Non ci risulta – ha spiegato – un fenomeno diffuso di richieste di reddito di cittadinanza ma questa notizia ci dice che i Caf sono un presidio per i cittadini. C’è stato invece un forte incremento delle richieste di Isee (l’indicatore della situazione economica) per ottenere il reddito di inclusione. A gennaio – dice – l’aumento è stato del 30%”. Sulla stessa linea Mauro Soldini: “Code? Evidentemente sono quelle per le richieste di Isee. Abbiamo verificato, non c’è nessun fenomeno: ci risulta solo un caso isolato in provincia di Bari, ma si parla davvero di poche persone“.

È stato segnalato qualche caso isolato del genere in Basilicata e nient’altro. Il reddito di cittadinanza promesso dal Movimento 5 Stelle, per la cronaca, non è un reddito di cittadinanza.



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IL POST –

La principale proposta economica del Movimento 5 Stelle, che domenica è diventato il primo partito italiano, è il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, un sussidio di poco meno di un migliaio di euro al mese destinato a chi si trova senza lavoro o in condizioni di povertà. Il problema, però, è che non è affatto un reddito di cittadinanza. Si tratta di un sussidio di disoccupazione e inoccupazione, o, ancora meglio, di un reddito minimo garantito, a cui il Movimento 5 Stelle ha dato un nome originale e accattivante, che però indica una cosa completamente diversa.

Che cos’è davvero un reddito di cittadinanza?
Come indica il nome stesso, il reddito di cittadinanza (chiamato anche “reddito di base”, in inglese “basic income”) è un trasferimento monetario erogato dallo stato che viene ricevuto da tutti i cittadini, a prescindere da ogni altra considerazione. È un reddito, quindi, che spetta a qualcuno per il solo fatto di essere cittadino di un certo paese. La sua caratteristica è che viene erogato in assenza di qualsiasi altra condizione: ricchi e poveri, occupati e disoccupati, tutti i cittadini di uno stato che prevede il reddito di cittadinanza ricevono questo sussidio.

Come è facile immaginare, non sono molti i paesi ad avere un simile strumento. Il caso più celebre, e quasi unico, è l’Alaska, lo stato americano ricco di petrolio dove qualsiasi cittadino americano, per il solo fatto di essere un residente da almeno un anno nello stato, riceve circa un migliaio di dollari l’anno (al suo massimo storico, nel 2015, il fondo distribuiva a ogni cittadino 2.000 dollari l’anno). Ogni persona che ha vissuto in Alaska per almeno un anno riceve la cifra tonda, senza alcuna distinzione di reddito, occupazione o età.

Che cosa propone il Movimento 5 Stelle?
Nulla di quanto sopra: la proposta del Movimento non prevede di erogare un sussidio incondizionato e uguale per tutti, anzi. Per ottenerlo bisognerà invece rispettare una serie di condizioni:

Essere maggiorenniEssere disoccupatiOppure, percepire un reddito da lavoro inferiore alla soglia di povertàOppure, percepire una pensione inferiore alla soglia di povertà

Chi ha diritto al sussidio dovrà rispettare alcune regole per poter continuare a riceverlo.

Iscriversi ai centri per l’impiegoAccettare uno dei primi tre lavori che gli saranno eventualmente offertiPartecipare a progetti “utili per la collettività” organizzati a livello comunale per un massimo di 8 ore alla settimanaPartecipare a corsi di riqualificazione e formazione

Chi soddisfa questi requisiti avrà diritto a un sussidio di circa 780 a euro al mese, o sufficiente a portare il suo reddito a 780 euro, con alcune variazioni in base alle dimensioni del nucleo familiare. Per i pensionati, secondo la proposta del Movimento 5 Stelle, queste limitazioni non si applicano.

Francesco Seghezzi, direttore della fondazione ADAPT, che studia lavoro e welfare, ha definito questa misura un’indennità di disoccupazione o inoccupazione, cioè un sussidio erogato a chi si trova senza lavoro a condizione che ne stia cercando attivamente uno. Altri lo hanno definito un “reddito minimo garantito“, per via del fatto che si applica anche a coloro che hanno un lavoro part-time e ai pensionati che vivono al di sotto della soglia di povertà.

Gli esponenti del Movimento 5 Stelle hanno ragione a dire che tutti i paesi europei, con l’eccezione della Grecia, hanno una qualche forma di tutela di questo tipo. Ma sbagliano a dire che tutti i paesi europei hanno un “reddito di cittadinanza”. Quello che è molto diffuso è il reddito minimo garantito, o comunque un’indennità di disoccupazione universale. È sbagliato, inoltre, dire che l’Italia non ha una norma simile, perché proprio l’anno scorso è stato definitivamente approvato il Reddito di inclusione(REI), un sussidio universale destinato a tutti coloro che si trovano in situazione di povertà.

Il REI sarà operativo dal prossimo luglio e ha meccanismi che lo rendono molto simile alla proposta del Movimento 5 Stelle. Ad esempio, è condizionato all’accettazione di percorsi di ricollocamento e formazione, in modo da aiutare le persone che lo ricevono a trovare un’occupazione. La differenza principale è nelle dotazioni finanziarie. Per il momento il REI è uno strumento di dimensioni ridotte, dotato di circa un paio di miliardi di euro. L’assegno, quindi, è piuttosto basso (un massimo di 485 euro) e la platea di chi ne può beneficiare è ridotta: lo strumento però è stato creato e ora è sufficiente aumentare la dotazione del fondo per arricchire l’assegno e aumentare il numero dei beneficiari. La proposta del Movimento è, in sostanza, un super-REI che dovrebbe avere, a seconda dei calcoli, una dotazione tra i 15 e i 30 miliardi all’anno. Nella sua sostanza, però, è uno strumento pressoché identico, a parte il fatto che si applica anche ai pensionati.