Affari&Finanza, 5 marzo 2018
L’emozione che orienta le scelte la frontiera del biomarketing
Una cuffia per encefalogramma a 64 canali, una cintura per elettrocardiogramma, una serie di sensori elettrodermici che misurano le variazioni continue nelle caratteristiche elettriche della pelle, ad esempio in seguito a sudorazione, e ancora rilevatori delle espressioni facciali e telecamere per studiare i movimenti oculari. Tutti dispositivi che servono a misurare sensazioni come piacevolezza, fastidio e livello di attenzione di chi li indossa, e che ora trovano la più impensata delle applicazioni, il marketing delle aziende. Una visita al laboratorio di ricerca sul biomarketing messo in piedi dal Politecnico di Milano proietta in uno scenario in cui si fa labile il confine tra l’uomo e la macchina. «Non si tratta di soluzioni futuribili o sperimentali», assicura Giuliano Noci, professore di Strategia e Marketing alla School of Management del Politecnico di Milano. «Semplicemente sfruttiamo l’innovazione tecnologica per superare i limiti delle ricerche di mercato, che sempre più spesso si rivelano utili per descrivere i gusti dei consumatori, ma insufficienti a capirne le ragioni». Un ragionamento che si porta dietro un’idea della rivoluzione digitale in atto per certi versi controcorrente rispetto al pensiero dominante. «Il dibattito sulla competizione uomo-robot e sulle conseguenze per l’occupazione è mal posto», analizza l’esperto. «La digitalizzazione non è una minaccia per il processo di sviluppo della società, ma piuttosto una leva capace di sublimare l’uomo». Un esempio può aiutare a comprendere meglio il suo pensiero. «Pensiamo al manager: è ancora l’unico agente in grado di fare la differenza grazie a una sensibilità e creatività non riproducibili dal punto di vista tecnologico». Dunque, se il primato del cervello umano non è in discussione, almeno a livello potenziale, resta da capire come l’evoluzione digitale può aiutare a comprenderne a pieno i meccanismi, in uno scenario che vede il consumatore assumere un potere negoziale molto più rilevante che in passato nei confronti delle aziende. «Serve una nuova bussola che orienti analisi e strategie verso il mercato, anche a costo di scardinare dogmi e miti consolidati», ribatte Noci, che ha da poco pubblicato un libro intitolato proprio Biomarketing (edito da Egea). Il riferimento è alla disciplina che analizza i dati del corpo umano e dell’attività celebrale di fronte agli stimoli del marketing e della pubblicità. «Non è del tutto una novtà: fino ad oggi le imprese hanno fatto ricorso al neuromarketing, ovvero la valutazione dei segnali celebrali. La nuova frontiera va oltre perché tiene conto anche di altri parametri come la sudorazione, la pressione, la frequenza cardiaca, oltre ad analizzare le microespressioni facciali. Ecco spiegate, dunque, le strumentazioni adottate nel nuovo laboratorio del Politecnico meneghino. “Studiamo i segnali del corpo che esprimono la reazione emotiva prima che venga processata dal cervello», spiega il docente. «Nuove tecnologie digitali non invasive, indossabili, che consentono le misurazioni anche fuori dai laboratori». Qualche esempio aiuta a rendere meglio il concetto: «Pensiamo a un tester che guida un’automobile ed esprime emozioni in merito alla piacevolezza o meno non solo dell’autoveicolo, ma anche della strumentazione dei servizi di infotainment presenti nell’abitacolo. Così come alle reazioni di chi si muove all’interno di un supermarket: dove si sofferma il suo sguardo? Cosa lo attira in particolare? Come reagisce agli stimoli visivi? Si tratta di quesiti ai quali oggi è possibile dare una risposta senza più limitarsi a quanto dichiarato a parole». «Ricordiamoci che l’ispirazione è arrivata dallo studio delle analisi di Gerald Zaltman, professore di Harvard, che per primo negli anni Novanta ha dimostrato come il 95% dei comportamenti d’acquisto abbia derivazione inconscia, anche quando l’individuo dichiara di decidere razionalmente». Il biomarketing consente di tracciare e mappare le reazioni inconsce ai formati pubblicitari, ai percorsi di narrazione pubblicitaria, alle interfacce web, persino alle telefonate dei call center. Dall’ascolto di questa analisi e dalla visita al laboratorio nasce un quesito: c’è il rischio di consegnarsi al grande fratello digitale rinunciando a quella parte di emozioni che molti di noi amano conservare nel proprio io? «Direi di no», ribatte l’ideatore. «Con questa strumentazione si avvicinano imprese e consumatori: questi ultimi possono riconoscere perché, quando e come si comportano in un modo o in un altro, mentre le aziende possono adeguare la propria offerta alle necessità che emergono e che cambiano nel tempo».